SPECIALE MILLION DOLLAR BABY – I magnifici perdenti di Clint

Sembrano tutti angeli, i protagonisti del film, tutti combattenti del perdono, pronti a dare tutto pur di ottenere la propria particolarissima redenzione. Angeli, fantasmi e corpi immersi nel dolore. In un film che passo dopo passo ti pone di fronte a domande e interrogativi sulla vita e sulla morte sempre più grandi e "impossibili".

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Frankie Dunn è ormai un uomo anziano, ne ha vissute di storie lui, lavorando da una vita a bordo ring, prima come aiuto e poi come allenatore di pugili. Dirige una palestra, allena futuri campioni – che presto altri manager più cinici e in gamba gli soffieranno – e ogni giorno va in chiesa, da 23 anni, a cercare un'impossibile redenzione, ponendo domande cui il prete non può e non vuole più rispondere. Scrive da anni lettere alla figlia che puntualmente tornano indietro al mittente.

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Eddie, detto Scrap-Iron (ferro vecchio), è anch'egli ormai molto lontano dalla giovinezza. E' stato un buon pugile e, per poco, non è arrivato a quel titolo che tanto sognava. Poi un giorno un incontro, il n.109, si mette male e il suo manager non "getta la spugna". Frankie, il suo amico, lo medica a bordo ring, ma non può impedire che Scrap perda la vista da un occhio. Oggi Scrap è solo, senza soldi e senza famiglia. Ma nella palestra di Frankie ha trovato lavoro, casa e famiglia: la sua vita è tutta lì dentro.


Maggie ha 31 anni. La sua famiglia vive in una roulotte, il padre è morto quando lei era bambina e oggi vive in una stanza in affitto lavorando come cameriera. Ma di sera coltiva il suo sogno: divenire un pugile professionista, e lottare per il titolo. E' sola, e si allena con ostinazione tutte le sere nella palestra di Frankie. Vorrebbe che fosse Frankie ad allenarla, lui e nessun altro, perché sa che è il migliore.


Tre personaggi, tre mondi. In fondo tre "perdenti".


Che si incrociano e intrecciano in questo film di fantasmi, dove il fuoricampo sembra essere un altro film altrettanto bello, intenso, ricco.


Fuoricampo avviene tutto: la lite con la figlia di Frankie, e la perdita definitiva della sua famiglia; l'ultimo drammatico incontro di Scrap; la perdita del padre di Maggie. Gli eventi chiave della vicenda appartengono a un altro mondo. E' come se Eastwood avesse voluto tenere al di fuori dello schermo proprio quegli elementi drammatici chiave che costituiscono il "cuore" di un film, e che chiunque altro avrebbe fatto rientrare dalla finestra magari con l'aiuto di un flashback.  No, Eastwood  no. Perché i suoi film per essere così intensi, per stravolgere lo spettatore con una forza emozionale così travolgente, hanno bisogno di lanciargli addosso un "vissuto" che non si può vedere, ma che si deve percepire, immaginare. E' questo uno dei grandi segreti della forza del suo cinema: lasciare allo spettatore l'immaginazione di ricrearsi il passato della storia, a partire solo da pochi, scarni elementi. Un uomo va in chiesa tutti i giorni in cerca di un perdono che non arriverà. E scrive lettere che tornano al mittente. Oppure lanciare improvvisamente degli "ami", per chi sa coglierli, come avviene nella scena più bella del film: Frankie e Maggie sono in auto, fermi ad un autogrill. Lui scende per far benzina mentre la ragazza resta dentro seduta. Dall'altro lato della pompa c'è un'altra auto, con una bimba sorridente in compagnia del proprio papà. Maggie la guarda e, commossa, sorride. E il nostro sguardo di spettatori si scioglie di fronte a quell'immagine che ci dice tutto, di Maggie, del padre perduto, dell'infanzia difficile, dei sogni infranti.

Elementi chiari e semplici, che lasciano immaginare una vita, fatta di perdite e di dolori.


E allora "per forza" Frankie non può allenare Maggie. Ma non perché lei è una donna e lui un conservatore che considera la boxe uno sport da uomini, questa è la superficie del mondo. Perché Frankie dedica tutto se stesso in quel lavoro e non vuole più provare qualcosa per qualcuno, con il rischio terribile di soffrire ancora. Un sesto senso glielo dice che no, non deve allenare quella ragazza testarda e solitaria, che continua a chiamarlo "Capo" e che non vuole altri allenatori che lui.  E Frankie rifiuta, mentre lei continua a venire lì tutte le sere, ad allenarsi a tirar di boxe.  Ma Frankie non sa che c'è un angelo dietro di loro, il suo unico vero amico, Scrap, che incoraggia Maggie, le insegna di nascosto qualche trucco, e sottilmente spinge Frankie a cambiare idea. E  quando questo avviene, non è un semplice lavoro, lo sport della boxe: è la rinascita dell'amore.


Perché quello di cui parla, in definitiva, questo magnifico e irriproducibile film "senza tempo", è proprio d'amore. Ma di quell'amore puro e assoluto come può esserlo quello di un padre per una figlia, o di un uomo per il suo migliore amico.


Ed eccolo Frankie ritornare in vita, di nuovo riprovare l'emozione di "tenere a qualcuno". Maggie è un fantasma, la riproduzione emozionale di quello che non ha saputo fare con la figlia, che ha ormai perduto per sempre (e lo sappiamo, anche se il film non ci dice nulla, che è lui ad aver torto, per questo vive forte il senso di colpa, la sua necessità di avere il perdono). Ma Maggie è anche un "corpo vivo", che ha sperimentato su di sé tutto il dolore possibile, e che vedrà la sua generosità nei confronti della sua famiglia ricambiata con un cinismo insopportabile, fino alla fine.


"La boxe gioca un ruolo importante nella vicenda – ha detto Eastwood a proposito del suo film – ma questo non è un film sulla boxe, è un film sui rapporti umani". E gli umani veri qui sono questi tre magnifici perdenti, ognuno con il suo sogno infranto, ma capaci di respirare un'umanità che il mondo circostante sembra non cogliere. Sembrano tutti angeli, i protagonisti del film, tutti combattenti del perdono, pronti a dare tutto pur di ottenere la propria particolarissima redenzione. Angeli, fantasmi e corpi immersi nel dolore. In un film che passo dopo passo ti pone di fronte a domande e interrogativi sulla vita e sulla morte sempre più grandi e "impossibili". E la "morte" sembra essere la vera "cifra stilistica" del film e del cinema dell'ultimo Eastwood: lungi dall'essere il luogo della fine del mondo, essa aleggia come grande ombra, come un qualcosa da conquistare giorno per giorno, da affrontare con dolcezza e determinazione.  Fino all'estremo atto,  religioso e blasfemo allo stesso tempo, del "dare la morte" come un "dare alla vita".  Roba da brividi per tutti, credenti e non.


 

 


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