Spider-man: Across the Spider-verse. La città che scende

Col pretesto delle forme, questo secondo capitolo della trilogia buca qualsiasi idea ormai assodata nel presente in fatto di coscienza delle metropoli – e il conseguente, imminente sovraffollamento

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Quando in Un nuovo Universo Zia May chiede a Miles da quale universo lui provenga (credendolo uno degli uomoragno catapultati da un’altra dimensione) lui si limita a rispondere: Brooklyn. Ma Brooklyn è diventato davvero un universo a sé stante. Esattamente così come lo sono diventati tutti i centri urbani iperespansi – più comunemente noti come metropoli. Le città odierne sono già sovrappopolate e si prevede una crescita fuori controllo dell’affollamento, l’abbandono delle province è già in corso. Entro il 2030 il 60% della popolazione globale vivrà in città. Era il 2019 quando Singapore, vista la crescita demografica smisurata annunciava che sarebbe stata costretta a spostare buona parte dei servizi di deposito, trasporto merci ed energetici sotto la stessa città, tramite una serie di lavori nel sottosuolo. Le megalopoli in Across the Spider-verse ormai non hanno più limiti ed è impossibile vederne i confini anche dal più alto dei palazzi (qualcuno potrebbe suggerire di scandagliare l’orizzonte dalla cima del Burj Khalifa, certo). È forse per questo che nella sua spiazzante lucidità bastano delle pennellate in verticale sullo sfondo a suggerire l’idea di skyline.

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A partire dall’incipit, al livello intimistico della storia, quello dei rapporti umani diluiti nella troppa gente in città, questo nuovo capitolo narra della difficoltà di chi, come Gwen, vuole trovare nuovi amici nell’oceano di folla che abita le metropolitane e gli incroci. Ed è fondamentalmente impossibile. Non si riesce a mettere a fuoco volti familiari quando si va di corsa da un angolo all’altro di New York. Le persone sono solo lo sfondo della storia che ognuno di noi sta vivendo. E cosa accade quando per un atto di reazione, uguale e contraria, dallo sfondo qualcuno si distacca, prende coscienza e rivendica la sua importanza nella storia? Il più delle volte è solo gente di passaggio, ma può succedere anche di incappare nella perfetta genesi di un villain…

E il discorso dell’accomunare a ogni persona una storia unica e distinta, nello specifico nel contesto metropolitano, non è nulla di nuovo. Wong Kar-Wai, Edward Yang e Hou Hsiao-hsien, per citarne alcuni, sono i nomi chiave in quest’ambito. Across the Spider-verse però non si limita al tratteggio dell’uomo in quanto animale sociale. Bensì grazie ai limiti – ora lo sappiamo – infranti dell’animazione riesce a dare un’idea – anche visivamente – del mutamento perpetuo della forma della città. Come nel caso di Singapore, alla città non resta che scendere. E lo vediamo a Nueva York, in continua discesa quando Miles si trova a dover fuggire. È esplicato quando Morales arriva a Mumbattan – la discesa questa volta sembra attraversare anche le classi sociali. Il discorso assume la sua interezza solo pensando all’immagine-chiave di tutto il film: Gwen e Miles che guardano la città capovolta. Perché dopo aver costruito e raggiunto altezze incredibili, a Spider-man non resta altro che lanciarsi, e ogni caduta sarà più veloce della precedente. 

Col pretesto delle forme, questo secondo capitolo della trilogia buca qualsiasi idea ormai assodata nel presente in fatto di coscienza delle metropoli – e il conseguente, imminente sovraffollamento. Non è un caso che l’inizio di tutto, in Un Nuovo Universo, esploda (letteralmente) da sotto New York, più giù del livello della metropolitana. L’invettiva di Across the Spider-verse somiglia di più a un libro/studio di Yuval Noah Harari sul tema delle megalopoli. E rimette in discussione la nostra idea collettiva di spazio urbano e abitabile, invertendo il senso di marcia di ogni cantiere, peraltro elemento fisso nel background dei voli (romantici?) di Gwen e Miles. Magari il prossimo capitolo per PS5 di Spider-man sarà ambientato nella città orizzontale qatariota in costruzione, The Line, lunga ben 170 chilometri e larga solamente 200 metri. In definitiva i futuristi si sbagliavano, e anche Boccioni. La città ha smesso di salire, perché oggi scende

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