The Bank, di Robert Connolly

Come la stilizzazione di una formula matematica “The Bank” soffre di uno schematico registro. Non è un’opera prima da dimenticare, anzi, ma il superficiale tratteggio della materia ospitata e l’aurea da poema didascalico fanno del film un’occasione mancata

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Con “The Bank”, primo lungometraggio di Robert Connolly, viene confermata l’impressione che da qualche anno accompagna certo cinema di genere. Ossia la presenza sempre più diffusa del “corpo numerico” fattosi energia cinetica intesa come veicolo narrativo. Il numero fagocitante e generatore di meccanismi sempre più complessi, sempre più incomprensibili. Ma alla fine un cinema che si dona alla staticità più assoluta. Fermo, implacabile, claustrofobo nel suo inquadrare l’immagine computerizzata. Dopo Vincenzo Natali che con il suo cubo incarcera sei corpi numerici dentro le sadiche geometrie del potere (omologante?), dopo il religioso teorema delirante di Aronofsky che, simbolicamente legato a “Il mnemonista” di Paolo Rosa, sentenziano l’impossibilità dell’uomo-spettatore di registrare, comprendere ed elaborare il meccanismo di questa società, di questo cinema, “The bank” mette ancora in gioco i numeri, la teoria del caos. Teoria del caos ma anche del nuovo thriller movie, indecifrabile, statico, ansiogeno. “The Bank” fa leva sulla capacità intrinseca dei numeri di creare angoscia, di prefigurare schematicamente la digressione verso un possibile e temuto scioglimento. Scioglimento che avrà luogo solo grazie ad innumerevoli countdown numerici. La relatività, l’astrazione e lo schematismo sono alcuni fattori perturbanti della matematica, sin da giovanissimi infatti tendiamo a rifuggirne, e proprio questi fattori, sommati ad una messinscena che ne rilevi e ne dilati la percezione, vanno a registrare la messa in abisso propria dei “mathematics movie”. Ma come la stilizzazione di una formula matematica “The Bank” soffre, nella stessa maniera, di uno schematico registro. Non è un’opera prima da dimenticare, anzi, ma il superficiale tratteggio della materia ospitata e l’aurea da poema didascalico fanno di “The Bank” un’occasione mancata. Connolly gioca instancabilmente sui chiaroscuri, sul facile e abusato meccanismo del contraltare, rendendo così l’identificazione immediata ma allo stesso tempo scontata e sterile. Certamente nei territori della denuncia sociale è accettabile una rivendicazione piana, manichea (la banca, nemico pubblico n°1), ma là dove un film intenda assecondare, per stessa ammissione del regista, il linguaggio commerciale, non deve tralasciare l’importanza, soprattutto nel thriller movie, di una certa ambiguità drammaturgica. Al contrario, in questo film, l’uso del montaggio alternato parallelo che suddivide il film in due parti, istaura una dialettica del confronto tanto limpida quanto scontata e limitante. Titolo originale: The Bank
Regia: Robert Connolly
Sceneggiatura: Robert Connolly
Fotografia: Tristan Milani
Montaggio: Nick Meyers
Musica: Alan John
Scenografia: Luigi Pittorino
Costumi: Annie Marshall
Interpreti: David Wenham (Jim Doyle), Anthony LaPaglia (Simon O’Reilly), Sibylla Budd (Michelle Roberts), Steve Rodgers (Wayne Davis), Mitchell Butel (Stephen), Mandy McElhinney (Diane Davis), Greg Stone (Vincent), Kazuhiro Muroyama (Toshio)
Produzione: John Maynard, Domenico Procacci
Distribuzione:Fandango
Durata: 104’
Origine:Australia, 2001

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