THE BIG SHAVE di Gilda Luzzi

Un bagno perfetto, luminoso quasi da essere accecante.

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Un uomo appena sveglio si accinge a compiere il gesto ripetitivo di ogni mattina: tagliarsi la barba.


Non ci sono parole. C'è solo la musica ad accompagnarlo.


Apparentemente sereno, quasi impaziente di ricominciare una nuova giornata, prende la schiuma da barba.


Il primo piano della bomboletta spray fa immaginare quasi uno spot pubblicitario.


L'americano se la spalma sul viso.


Prende il rasoio e inizia a radersi.


Una, due, tre volte.


Affonda la lama fino a quando il suo viso diventa una maschera di sangue.


Al bianco candido del bagno si sostituisce il rosso cupo del sangue che zampilla ed anche lo spettatore resta senza parole mentre la canzone del '39 "I can't get started" di Bunny Berrigan crea un azzeccatissimo contrasto con il sangue che invade violentemente l'ambiente più intimo.


Girato nel 1967, The Big Shave è il terzo cortometraggio di un Martin Scorsese, ancora studente universitario, dopo i precedenti "What's a  nice girl like you doing in a place like this" e "It's not just you, Murray" entrambi del '63.


La Grande Rasatura racchiude nell'intensità dei suoi cinque minuti la distruzione del sogno americano.


Anzi, è il sogno americano che diventa incubo.


E' la menzogna della perfezione dello stile di vita d'oltreoceano, dove tutto è piacevole, sereno, luminoso come quel bagno che si frantuma nella violenza fisica, prima che psicologica, del protagonista, interpretato da Peter Bernuth.


Il gesto più naturale, quello di radersi la mattina prima di iniziare una nuova giornata, diventa un terrificante motivo di orrore.


E c'è anche la metafora, neppure troppo implicita, della guerra del Vietnam.


In quegli anni fare un film di guerra significava principalmente raccontare la seconda guerra mondiale, usando toni autocelebrativi e autoesaltanti.


La pubblica opinione non amava e non ama sentir parlare del Vietnam, preferisce rimuovere quella guerra.


Martin Scorsese, invece, arditamente gira questa  pellicola, sia pure un corto di cinque minuti, che nell'orrore del sangue che sgorga inarrestabile riporta a quello dei soldati americani caduti in Vietnam.


Nonostante sia un cineasta alle prime armi si nota già la grande abilità del regista che sarà, laddove riesce a lasciare spazio alle immagini e, pur in assenza di dialoghi, riesce a far alzare con forza il grido di dolore contro l'apparato militare ed ideologico statunitense.


Finanziato dal belga Jacques Ledoux e vincitore del prestigioso premio L'Age d'Or al festival del cortometraggio di Knokke-Le Zoute, The Big Shave è costruito privilegiando primi piani strettissimi, sia del protagonista, sia degli oggetti e si avvale di un'ottima fotografia di Ares Demertzis che mantiene i toni gelidi quasi abbaglianti e degli effetti speciali di Eli F.Bleich che rende assai verosimile lo zampillio del sangue che neppure l'acqua che scorre copiosa dai rubinetti riesce a spazzare via.


 


 


 

Gilda Luzzi

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