The Deer King – Il re dei cervi, di Masashi Ando e Masayuki Miyaji

Guarda con nostalgia ad un passato mitizzato attraverso lo specchio del fantasy bellico. Intreccia temi sociopolitici e fantastici, sacrificando però la linearità sulle soglie del suo afflato storico

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Come in molti racconti di matrice fantasy ambientati nel Giappone feudale, anche in The Deer King – Il re dei cervi la tensione è rivolta verso una rappresentazione nostalgica di un passato perlopiù andato, teso tra le pieghe di un “presente” militarista che ne spazza progressivamente le tradizioni più radicate e essenziali. La transizione tra un’epoca mitica (e mitizzata) e le sue attuali derivazioni belligeranti sono il monito del tempo che cambia, e insieme il frutto più corrotto dell’ambizione umana, che fa crollare sotto i suoi colpi tanto le relazioni carnali (uomo-uomo) quanto quelle natural-ambientali (uomo-natura). E come in Principessa Mononoke, ogni scontro, battaglia e conflitto è il viatico per attaccare l’attuale clima di prevaricazioni bellico-politiche, e preservare uno status quo sull’orlo della sparizione.

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Ma del celebre film di Miyazaki si riprende anche l’orizzonte iconografico, oltre a quello propriamente storico. Adattato dall’omonima serie di romanzi di Nahoko Uehashi, Deer King – Il re dei cervi si muove costantemente su un doppio filo referenziale, a metà strada tra la fedeltà narrativa alla materia d’origine e il rispetto (quasi) reverenziale nei confronti del suo irraggiungibile riferimento cinematografico. Una duplicità di tensione evidente nell’approccio alla storia, così come nella selezione dei suoi temi di matrice bellico-mitologica.

E in questo senso, The Deer King – Il re dei cervi parte proprio dalle sue radici fantastiche, oggetto e destinazione del disegno critico del racconto. Sin dall’incipit siamo catapultati in un periodo di forti tensioni, dominato – come nell’epoca Sengoku (1467-1603) – da uno scontro continuo tra piccoli feudi, caduti sotto il potere tirannico dell’impero di Zol. L’unico ad opporsi al suo dominio è Van, ex comandante dei rivoltosi e ora schiavo nelle miniere di sale. Ma nel paese, come nelle segrete, nessuno è realmente al sicuro, con la terribile maledizione del “Mittsal” che miete sempre più vittime, a causa dei morsi infetti di lupi semi-ancestrali. Solamente Van e la piccola Yuna ne sono immuni, al punto da diventare oggetto di contesa di interessi plurimi, da quelli più egoistici di appropriazione/distruzione (da parte dei vari feudatari) a quelli propriamente salvifici del medico Hossal, pronto a trovare un vaccino a partire dalle proprietà singolari del loro sangue.

E il senso di The Deer King – Il re dei cervi sta tutto nelle maglie pluri-semantiche della materia ematica: nel corpo di un uomo, che al pari del Gatsu di Berserk, porta su (e dentro) di sé il segno della maledizione, e insieme del suo ineluttabile destino. O nella ipotetica relazione padre-figlia, che al legame sanguigno sostituisce la vicarietà di un rapporto mitico e profondo. Ma nell’intreccio di temi politici, sociali e fantastici, il film perde spesso il filo del discorso, implodendo sulle soglie del suo stesso afflato storiografico. Troppa carne al fuoco, forse, per un racconto complesso ma solo in parte lucido, a cui gli animatori Ando e Miyaji nel passaggio alla regia faticano a restituire la stessa incisività poetica di derivazione miyazakiana. E del resto, è pur sempre una questione di sangue.

Titolo originale: Shika no Ou: Yuna to Yakusoku no Tabi
Regia: Masashi Ando, Masayuki Miyaji
Voci: Shinichi Tsutsumi, Ryoma Takeuchi, Anne Watanabe, Hisui Kimura
Distribuzione: Koch Media
Durata: 114′
Origine: Giappone, 2021

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.8
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Il voto dei lettori
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