The Girl and the Spider, di Ramon Zürcher e Silvan Zürcher
In concorso nella sezione Encounters della Berlinale 2021 in streaming, l’opera dei fratelli svizzeri si focalizza sui non-detti relazionali di personaggi alle prese con un trasloco importante
Che il cinema d’interni faccia spesso da specchio audiovisuale sull’anima dei personaggi che lo abitano è fatto ormai canonizzato. Qualche anno fa abbiamo inoltre imparato che in un laccato appartamento della middle-class statunitense con pretese intellettualistiche può annidarsi il dio del massacro. Adesso scopriamo che anche in un trasloco da un appartamento in coabitazione con altre persone ad uno dove andare a vivere da soli si portano con sé, oltre agli scatoloni e agli elettrodomestici, le proprie irresolutezze esistenziali.
The Girl and the Spider, secondo film dei fratelli svizzeri Zürcher, in concorso al Festival di Berlino 2021 nella sezione Encounters dopo l’esordio come Talents nel 2015 con The Strange Little Cat, parte da questo semplice assunto e lì vi rimane per il corso della sua intera durata. Il punto di arrivo non coincide con quello di inizio e viene addirittura capovolto: la prima parte, più breve, si svolge nella nuova abitazione mentre la seconda, più significativa, in quella vecchia che viene salutata con l’immancabile festa d’addio. L’addio ai luoghi fisici per la giovane Lisa vorrebbe significare il distacco da una parte della sua vita immersa in una confusione vuota a rendere che sembra oramai angustiarla da tempo, come si capisce dai frequenti stalli in cui i personaggi sembrano freezarsi. Innanzitutto il rapporto problematico con Mara, coinquilina con cui in passato ha avuto anche una storia d’amore obliata dalla quotidianità che accorsa ufficialmente in suo aiuto sembra sabotare il trasloco con piccoli atti di terrorismo – il caffè versato a terra, l’indolente trascinamento tra le mura delle stanze da imbiancare. E poi il rapporto con la madre, ingombrante per bellezza e caratura affettiva, che s’ostina a flirtare col tuttofare Markus e a vigilare sui lavori col suo sguardo da morbida autocrate.
The girl and the spider prende dal suo soggetto narrativo lo stesso sguardo transitorio lasciando che siano i non-detti tra i personaggi a lasciar arguire allo spettatore il significato delle loro problematiche relazioni. La sospensione psicologica diventa presto il carattere precipuo del film: quando Lisa e i suoi ex-coinquilini tornano nella casa che hanno condiviso per tanto tempo si scopre che anche i vicini di pianerottolo condividono con essi la loro fragilità.
Così l’opera dei fratelli Zürcher, coetanei delle loro due protagoniste, ambisce a diventare uno spaccato poetico su un’intera generazione di trentenni alle prese con le piccole grandi difficoltà del sentimento e del vivere. In un racconto che non riesce a diventare corale pur desiderandolo – l’attenzione traversale per personaggi che toccano tutte le fasce d’età dato che anche a bambini ed anziani vengono riservate alcune sequenze estemporanee – l’occhio dei due registi si lambicca in una confezione estetica altamente patinata.
La raffinatezza formale dei primi interessanti trenta minuti minuti diventa nel prosieguo anodino imborghesimento: la perfezione stilistica degli ambienti (il tono elettro-lounge della musica e del beveraggio della festa) e di tutti suoi interpreti rende impossibile l’empatia verso questo asettico modo di vita. Giovani, carini e (forse) disoccupati ma terribilmente svizzeri, senza differenze di classe e di personalità – e nemmeno un felafel in mano. Questa sorta di pesante leggerezza che sceglie scientemente di non ricorrere alla (presunta) facilità del grande dramma si scontra da una parte con la banalità di alcuni suoi stereotipi (“tu per non sei mai stata una madre” detto dalla figlia alla genitrice che non incarna le tipiche caratteristiche matronali) e dall’altra con la debole deriva onirica, una fuga di senso dal quieto vivere che però non riesce né a riscattare né ad aprire altre strade.
Soltanto il finale aperto riesce ad incidere nuovamente dato che finalmente i due fratelli registi hanno l’accortezza di lasciar respirare una sceneggiatura fino a quel momento psicologicamente meccanica. Nell’ultima scena Mara, la più criptica di tutti i personaggi, infatti si rivela essere l’unica che riesce davvero ad approdare a qualcosa di definitivo arrivando a diventare il fantasma continuamente evocato durante la cronaca dei suoi sogni. Sparire in una strada trafficata, sommersa dalla folla di esseri che a differenza sua e dei suoi amici hanno il coraggio di esistere senza temere le conseguenze dei loro affetti, risolve le angosce dell’Io come nessun trasloco potrebbe fare mai.