"The Iron Ladies", di Yongyooth Thongkonthun

È sicuramente un evento: un film tailandese in prima visione anche se con quattro anni di ritardo. Il ritardo è vero com'è vera la storia che tratta di discriminazioni e della possibilità di batterle. Stile soap per uno dei più grandi successi commerciali della cinematografia thai.

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C'è spazio ancora per le favole, per le storie che se le racconti difficilmente vieni preso sul serio. La verità è che in Tailandia nel 1996 a vincere i campionati nazionali di volley è una squadra di talenti eccezionali e quasi tutti gay. Uscito ben quattro anni fa e passato in Italia grazie al Festival dedicato alle tematiche omosessuali di Torino, arriva finalmente in prima visione il secondo più alto incasso della storia cinematografica thai. Proprio in stile soap, opera relativamente ingenua, traboccante di sentimenti puri, immediati e indomiti; qui si rasenta la sovversione attraverso l'ambivalenza. In occidente forse il film rischia "scomunica" da parte degli stessi omosessuali: troppo farsesco, probabilmente irriguardoso. Ma nell'immaginazione orientale la sessualità altra è qualcosa di astratto (a volte assai divertente) e spesso non ha niente a che vedere con la realtà: gli orientali sono fortemente consapevoli della differenza tra rappresentazione e cosa rappresentata. La chiave dominante è quella comica e i protagonisti (quasi tutti etero e perciò ancora più bravi) si truccano, si fanno belli, si muovono come star: sudano agli allenamenti, schiacciano gli avversari. In campo come nella vita, senza falsi moralismi. Basta solo saper leggere o muoversi… tra le righe. Ma ai veri protagonisti di questa storia, ciò non è bastato per consentirgli l'accesso ai campionati internazionali e in coda al film si vedono felici di sentirsi ben inseriti nei diversi settori della società: chi lavora in banca, chi nello spettacolo, chi ha trovato nuovi e veri amici. Il regista Yongyooth Thongkonthun (all'esordio al cinema, dopo grandi successi nella televisione commerciale), non cerca mezzi termini per raggiungere il suo scopo: avere successo attraverso una tematica ancora tabù nel suo Paese. Gli effetti tipici del genere commerciale si concedono però al distanziamento: una rete alta separa la realtà ancora lontana da un'effettiva conquista morale. Ma non per questo sembrerebbe superfluo rilevare una perfetta quanto imprevedibile geometria registica del gioco effettivo.    L'unica preoccupazione è che passi un messaggio ad effetto contrario: il cinema tailandese è molto più ricco e complesso di quanto si possa pensare dopo questa visione divertente ma pur sempre "parziale" ai nostri occhi. Oltre ad una ricca produzione documentaristica legata ai mali sociali più sconvolgenti, di grande rilievo ormai sono i nomi di autori come Apichatpong (Tropical Malady) o di Pen-ek Ratanaruang (Last life in Universe). Quindi non resta soltanto il set di The Beach, che la furia tsunami sciaguratamente ha travolto.

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Regia: Yongyooth Thongkonthun


Interpreti: Jessad Aporn Pholder As, Chaicharn Nimpoonsawas, Giorgio Maiocchi, Gokgorn Benjaathikul, Sahapap Virakamin, Ekachai Buranapanit


Distribuzione: Sharada


Durata: 104'


Origine: Tailandia, 2001

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