The Theory of Everything, di Timm Kröger

Dopo Council of Birds, alla SIC nel 2014, il regista tedesco si presenta con un’altra opera ambiziosa e affascinante incentrata sulla Teoria del tutto. VENEZIA80. Concorso

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Dopo The Council of Birds, alla Settimana della Critica di Venezia 2014, il trentasettenne regista tedesco Timm Kröger presenta in Concorso un’opera ancora una volta particolarmente ambiziosa dal punto vista stilistico e per gli argomenti trattati. Il titolo riporta alla memoria il testo “Verso l’infinito”, da cui nel 2014 è stato tratto l’omonimo biopic di James Marsh sul premio Nobel Stephen Hawking, ma siamo in questo caso verso tutt’altra direzione. Nel 1962 Johannes Leinert, insieme al suo relatore di dottorato, si reca a un congresso di fisica nelle Alpi svizzere, dove uno scienziato iraniano dovrebbe rivelare una “teoria innovativa della meccanica quantistica”, quella teoria del tutto, appunto, già argomento principale del lavoro di dottorato di Johannes, totalmente rifiutato e osteggiato da colui che dovrebbe permettergli di entrare come docente all’Università. Quando i fisici arrivano all’albergo a cinque stelle, giunge la notizia che l’ospite d’onore, per problemi burocratici, non si sarebbe più presentato. Nonostante l’annullamento del congresso gli invitati non perdono l’occasione per trascorrere qualche giorno di vacanza tra le piste sciistiche. Johannes, tuttavia, viene costretto dal suo professore a studiare sulla sua tesi in albergo e trova comunque il modo di conoscere Karin, giovane pianista jazz, dalla quale si sente attratto. Qualcosa in lei sembra strano, sfuggente. Sa cose su di lui, cose che lui pensava solo lui sapesse. Quando una mattina uno dei fisici tedeschi viene trovato morto, due ispettori arrivano sulla scena, indagando su un caso di omicidio.

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Girato in bianco e nero, con atmosfere del cinema espressionista e suspence hitchcockiana, tutto parte dall’incipit, l’unico passaggio a colori. Usa apparentemente materiale di repertorio, in uno studio televisivo svizzero negli anni ’70 quando Johannes Leinert viene invitato per presentare il suo libro, a testimonianza della drammatica esperienza vissuta anni prima. Il presentatore televisivo chiede all’autore perché avesse scritto un romanzo di fantascienza e la risposta stizzita è l’abbandono dello studio. Johannes Leinert è un emarginato, un esaltato, un illuminato? Certo non sarà mai accettato dall’accademia e sarà per tutta la sua esistenza ossessionato dal ricordo di Karin…

Ecco, appunto, c’è fantascienza, filosofia, omaggio allo sci-fi nelle pellicole del secolo scorso, prima che la realtà si apprestasse ad ingaggiare un testa a testa con la letteratura e il cinema di genere. L’ironia drammatica di fondo insieme alle immagini di forte impatto aprono spiragli di cinema certamente colto, astratto, straniante, e temibilmente manierato in certi frangenti, ma l’inevitabile autocompiacenza è sovrastata dal desiderio di contrapporre in ogni istante la concezione di vivere in un mondo caotico ed indifferente con la speranza del genio guidato dal destino. Il multiverso di The Theory of Everything cerca l’unica equazione in cui convergono tutte le forze fondamentali del cinema. Si capisce quanto sia arduo e complesso il percorso di Timm Kröger, non conciliante ma certamente mai arrendevole. È l’equazione che audacemente lo spinge con coraggio ad un incontro tra energia e materia, per trasformare, parafrasando Einstein, il “legno scadente” dell’opera di genere in marmo pregiato della metafisica, in una teoria unitaria e continua di campo, una teoria di un’inevitabile illusione per quanto tenace.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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