"Triplice inganno", di Jerome Cornuau

Triplice inganno avrebbe potuto essere Gli intoccabili d’oltralpe, modello di riferimento di un poliziesco che mette al centro il conflitto tra senso dello stato e passioni personali. Purtroppo paga troppo la sua ispirazione televisiva, e Cornuau – anche lui esperto di serial – non riesce a dare ai suoi personaggi lo spessore del commissario di ferro. Si salva l’ambientazione nella Belle Epoque parigina, che stava allora scoprendo il cinematografo.

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Triplice inganno è ispirato ad una serie televisiva nota in Francia come “Les brigades du tigre”, e in un certo modo il retaggio del piccolo schermo pesa irrimediabilmente sulla trasposizione cinematografica. Questa operazione di riciclaggio culturale, tipicamente hollywoodiana e qui singolarmente francese, è infatti affidata alla regia di Jerome Cornuau, anche lui abituato per curriculum ai tempi e ai ritmi del serial.
Il suo film ha una sceneggiatura solo all’apparenza complessa, che si svolge su più piani narrativi: quello emotivo della psicologia dei personaggi, e quello dell’affresco della Belle Epoque, che è il periodo in cui Triplice inganno è ambientato. Tuttavia, la Parigi delle cartoline resta sullo sfondo, e il film gioca sui set di spazi esterni malfamati, e in sordidi interni – scantinati e rifugi, oltre al solito commissariato – tipici della letteratura criminale.
E’ però la dipendenza dal modello televisivo che tarpa le ali al film: pur essendo costruito con buona scelta di situazioni, i dettagli mancano quasi sempre di spessore, e la fusione tra poliziesco e film storico non è sempre del tutto convincente, nella sua ambiziosa pretesa di raccontare il canto del cigno dell’Europa dell’alta diplomazia e degli aristocratici (lo sfondo della vicenda è la stipula della Triplice Intesa), saldando allo stesso tempo il debito con pedinamenti ed indagini, assedii e sparatorie.
Cornuau ha una buona mano nel dirigere le scene di massa (l’inseguimento iniziale nel mercato, o l’assalto all’ambasciata russa) ma non riesce a creare una dimensione epica ai personaggi, come invece il copione imporrebbe: il commissario tutto d’un pezzo, la sofferta figura della principessa di Russia, che dovrebbe incarnare il tramonto dell’era aristocratica. Clovis Cornillac si limita ad accendersi sigarette, illuminato da una luce tagliente, e a pulirsi la coscienza mormorando frasi come “E’ il mio lavoro!”, mentre Diane Kruger si offre al primo piano con poca ispirazione, lontana dal complesso e ambiguo ruolo della dark lady. Il loro dialogo finale dovrebbe essere una citazione noir, ma manca del tutto i suoi intenti. E’ molto più affascinante il loro incontro in un caffè di periferia pieno di fumo, mentre il popolo si gode una delle prime proiezioni della nuova invenzione francese: il cinematografo.
Nel cast c’è anche Stefano Accorsi, nei panni di un poliziotto italiano imbranato, che evidentemente nella serie televisiva doveva metaforizzare l’immigrato in cerca di fiducia e riscatto sociale, e che invece oggi sembra un po' fuori moda, quasi un vezzo da grandeur.

Triplice inganno avrebbe potuto essere un poliziesco forte, e i requisiti per un bel film di genere non mancavano di certo: il contrasto tra la purezza morale della brigata mobile e la burocrazia corrotta, il loro senso del dovere e dello stato, che supera ogni loro ideale o etica personale. Un senso civico che, messo in mano a qualcuno dotato di un altro sentimento del cinema, avrebbe potuto renderli Gli intoccabili d’oltralpe: così com’è, il film di Cornuau non regge il confronto nemmeno con il nostro Quelli della calibro 38.

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Titolo originale: Les brigades du tigre
Regia: Jerome Cornuau
Interpreti: Stefano Accorsi, Diane Kruger, Edoard Bauer, Clovis Cornillac, Olivier Gourmet
Distribuzione: Gruppo Fonema
Durata: 125'

Origine: Francia, 2006 

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