UN PROPHETE – Un profeta dell'identità perduta
Il profeta attraversa il suo inferno parlando tutte le lingue e vestendosi dell'anima mulitetnica delle banlieue. La regia di Audiard impressiona di fotogramma in fotogramma, ma solo dopo due terzi della pellicola ha finalmente deciso: Malik è l'unico assoluto protagonista di questo microcosmo appestato di violenza dove còrsi, musulmani africani e neri caraibici, sono disperati Caino nella babilonia che sputa fuoco e vomita vendetta.
sarà prima lo schiavo del boss dei còrsi, Cèsar Luciani (uno straordinario Niels Arestrup, attore del nord europa, alle prese con un'identità altra) il padrino del carcere. Da lui e dalla sua piccola enclave di ex terroristi ora dediti al riciclaggio di denaro, apprenderà come muoversi in quell'ambiente per gestire i traffici nel mondo. Le sue orecchie apprenderanno il còrso, la lingua neolatina ancora diffusa in molte parti della Corsica, e usata dai gangster per parlare tra di loro (così vicina all'italiano da essere un simbolico 'slang' come il siciliano dei mafiosi in pellicola). Luciani gli ordini ai suoi li dà in còrso, proprio come lo stanco Napoleone si rivolgeva ai suoi fedelissimi quando era costretto al confino fuori dalla Francia o come le smorsicature anglo-sicule del Brando/Corleone. E proprio come l'imperatore Luciani comanda la sua enclave sfidando i nemici musulmani, l'altra identità che il profeta incrocerà nel suo viaggia all'inferno. I còrsi e i 'fratelli' musulmani stringono nelle mani i gendarmi francesi, e con loro la picciola Francia rappresentata da Audiard. Malik, come una spugna bulimica assorbirà le due culture, le due lingue, le loro parole e i loro segnali codificati. Come un vestito fresco di sarto queste identità si plasmeranno al suo spirito di 'uomo nuovo' e nella sua anima si intrecceranno fondendosi in una cultura 'altra'. Malik, il giovane arabo bianco, che se la fa con i còrsi, anche se la sua terra è il deserto e il futuro scritto nelle brutali banlieue di Francia, non tralascia nulla in questa educazione poco sentimentale. Studia nella scuola del penitenziario per imparare a scrivere nell'alfabeto dei carcerieri (ma anche quello del mondo di fuori con cui fa affari), fa suo il codice del padrino Cèsar sempre più dipendente dal giovane Malik, quasi fosse un vecchio ateo che ha smarrito la retta via. Il profeta attraversa il suo inferno parlando tutte le lingue e vestendosi dell'anima mulitetnica figlia delle colonie d'oltralpe. Audiard impressiona di fotogramma in fotogramma, ma solo dopo due terzi della pellicola ha finalmente deciso: Malik è l'unico protagonista assoluto di questo microcosmo appestato di violenza dove còrsi, musulmani africani e neri caraibici, sono disperati Caino nella babilonia che sputa fuoco e vomita vendetta. Lui, Malik, è ora pronto (e lo è anche il regista) per affrontare il mondo lì fuori, che non aspetta altro che l'avvento di un profeta. Si chiudono le porte di Sodoma e si aprono quelle del paradiso. Dove la famiglia e il suo ricco business l'aspettano. Il ragazzo fattosi uomo è finalmente in grado di parlare tutti i dialetti del mondo. La torre di Babele non è mai crollata, ma è lì davanti a lui pronta per essere scalata. Tutti attendono la parola del Profeta.