Una sterminata domenica, di Alain Parroni

Tra Caligari, Korine e gli anime giapponesi. Un film interessante, eccessivo, a volte sovraccarico di input visivi ma sempre sincero nel voler rintracciare i segni di un disagio. VENEZIA80. Orizzonti

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Ascoltatemi… ascoltatemi un attimo!”. Prima dell’inizio di questa sterminata domenica ci viene presentato il vocale di un diciannovenne (Alex) che racconta la sua tragica difficoltà nell’immaginare il futuro. Successivamente, in una delle ultime sequenze del film, l’auto bloccata nel traffico con a bordo una ragazza incinta (Brenda) viene abbandonata dal giovane conducente (Kevin) che inizia a urlare la sua rabbia adolescenziale: “ci volete aiutare?”. Ecco, l’esordio nel lungometraggio di Alain Parroni è tutto confinato in questa parentesi. La vita sempre connessa di tre adolescenti, le loro avventure banali o tragiche, divertenti o traumatiche, si condensano in questa radicale istanza generazionale: ascoltateci e aiutateci a comprendere il XXI secolo che avete creato per noi.

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I tre amici Brenda, Alex e Kevin vivono nella campagna a 30 chilometri dalla capitale trascorrendo il tempo come in un’infinita vacanza, apparentemente gironzolando senza meta tra centri commerciali e luoghi turistici, in realtà vivendo le avventure che segneranno per sempre la loro vita. Come se il cinema periferico di Claudio Caligari e le frammentazioni semi-documentaristiche del primo Garrone fossero filtrate dai toni lisergici di Harmony Korine e dalle musiche di Shirō Sagisu che estendono l’universo referenziale agli anime giapponesi. Tra il centro di Roma visto come un viaggio sulla Luna e le spiagge di periferia come frontiera simbolica di morte/resurrezione, gli spazi della capitale perdono ogni referenza certa. Sì, perché gli archetipi narrativi classici (dal coming of age al triangolo amoroso, dall’amicizia tradita allo scontro generazionale) si avvertono nitidi ma rimangono sullo sfondo, impossibilitati a guadagnarsi il primo piano, in questo flusso destrutturato di inquadrature con sonoro ambientale e improvvise astrazioni. Un’evidentissima mediazione estetica che ha bisogno del giusto talento (e Parroni ne dimostra) ma anche di equilibrio e indulgenza nei confronti dello spettatore (e qui sta il problema del film che non riesce del tutto a reggere la sua durata).

La mia generazione è una questione di linguaggio”, dichiara il regista, reiterando un atteggiamento nei confronti del cinema non dissimile da molte vague europee del passato. Nel 2023, però, il nostro rapporto con le immagini è totalmente cambiato e i dispositivi per articolare un discorso audiovisivo sul mondo non sono appannaggio solo del cinema ma diventano la pratica quotidiana di tutti noi. Parroni cerca quindi di rifunzionalizzare i linguaggi di TikTok e i filtri di Instagram, la frammentazione delle stories e l’immersività della realtà virtuale seguendo il disordinato discorso che i tre ragazzi istintivamente producono su se stessi.

Certo, il film rischia in più punti di diventare un’esperienza cerebrale facendoci riflettere sulle immagini più che cogliere la vita attraverso le immagini. Ma è un rischio calcolato. Del resto, basterebbe l’incontro/scontro finale sulla spiaggia per segnalare la nascita di un notevole sguardo registico da continuare a seguire: una sequenza che condensa esigenze narrative (lo svelamento del triangolo amoroso), sentimentali (il momento cardine della crescita dei tre protagonisti) ed estetiche (una regia che apre finalmente il campo e ci fa sentire il peso metafisico dell’ambiente). Insomma, Una sterminata domenica è un film interessante, eccessivo, a volte sovraccarico di input visivi ma sempre sincero nel voler rintracciare i segni di un disagio condiviso. Ossia la dispersione socio-emotiva di tre ragazzi del XXI secolo a cui non rimane che terremotare la nostra attenzione distratta attraverso i linguaggi espansi dell’audiovisivo: “ascoltate, ascoltate un attimo… ci volete aiutare?”.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.3
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Il voto dei lettori
2.33 (6 voti)
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