VENEZIA 61 – "I padroni della città", di Fernando Di Leo (Italian Kings of the B's)

L' ascesa a posizioni di pre-potere economico e personale permane come obiettivo dispiegato, anche se il sangue cede il passo ad una ludica musicalità dell'esistenza che favorisce la persistenza di uno stile

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I padroni della città (1976) chiude una fase del percorso di Di Leo, anche e soprattutto perché con esso si chiude il rapporto con la Daunia '70, la casa di produzione che gli aveva lasciato ampia autonomia di controllo.  Divertito e picaresco, colpisce per l'evidente cambio di registro operato dal regista pugliese. Dai vertici mafiosi ai bassifondi della delinquenza romana, vista con occhio partecipe, connivente, quasi assolutorio. La secchezza dei dialoghi lascia spazio ad una vivace gergalità, che la disinvoltura di Harry Baer, attore fassbinderiano di vecchia data (fortunato pegno ai coproduttori berlinesi della Seven Star Film), incarna in un ibrido doppiato a metà tra le movenze di Terence Hill e l'universo dialettale di Tomas Milian, che proprio in quegli anni stava emergendo con forza. Cinema del milieu, dove tragedia e farsa si rincorrono a raccogliere l'eredità del certosino lavoro del Di Leo antecedente, tralasciando lirismi o epicità di sorta. Si lascia così perdonare un tono più sfibrato nei tendini strutturali, grazie a decisive conferme: Bacalov, Caprioli, la cura degli ambienti, l'incedere dell'azione finale con gli inseguimenti spettacolari in moto all'interno del Vecchio Mattatoio di Testaccio. Magistrale come sempre la sequenza iniziale, in un ralenti onirico con un Jack Palance, "lo sfregiato", che consuma la sua "regola mortale" dinanzi agli occhi del bambino, figlio della vittima, preparando la vendetta finale che chiuderà il cerchio. Come sempre. Le truffe, le risse, le piccole ripicche, le ambizioni brucianti e le vigliaccherie sono strategie coordinate che spezzettano l'ombra del fotogramma in mille frantumi di cinema passato e futuro. Commediaccia, parodia, action, telefilm. Scorsese, De Palma, Tarantino, Cicero, Clucher. Alla fine "lo sfregiato" non è un personaggio. E' un'idea di cinema contaminata, che dalle ferite autoinferte scomparirà di lì a breve per ripresentarsi carsicamente sotto mille altri volti. Fantasmi che ritornano. La laguna sta provando a dargli un corpo dove il sangue versato possa tornare a nutrirla autonomamente. Senza padrini o padroni.  

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