Venezia 80 – About last year: incontro con Dunja Lavecchia, Beatrice Surano e Morena Terranova

Dunja Lavecchia, Beatrice Surano e Morena Terranova, ci hanno raccontato gli elementi cardine della loro opera prima. Tra Ball-culture e femminismo. Settimana Internazionale della Critica

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Presentato come unico film italiano in concorso alla SIC (Settimana Internazionale della Critica) della Mostra del Cinema di Venezia 2023 il documentario About Last Year è l’opera prima delle registe Dunja Lavecchia, Beatrice Surano e Morena Terranova. Abbiamo incontrato le cineaste e i produttori Enrico Bisi e Stefano Cravero (Base Zero) per farci raccontare qualcosa in più di un progetto indipendente che mescola cinema del reale con ambiente e istanze delle “ballroom”.

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Come è nato questo film, da quale spunto siete partite? 

D.L.: Questo film nasce da un incontro del 2017 per la realizzazione di alcuni video promozionali con questo gruppo di ragazzi e ragazze di quella che allora si chiamava Kiki House of Savoia, che è una “famiglia” in omaggio alla ball culture statunitense. Da quel momento noi ci siamo letteralmente innamorate di questo mondo e nel corso degli anni siamo state con loro, abbiamo cercato di capire che tipo di storia avremmo voluto raccontare e quali temi approfondire. Alla fine abbiamo capito che ci interessava raccontare quanto le donne all’interno di quella comunità cercassero uno spazio sicuro. Noi in quanto donne abbiamo riconosciuto questa necessità, da quando siamo “lanciate” nel mondo sociale dobbiamo trovare strumenti adatti a corazzarci per poi affrontare il mondo di fuori con una consapevolezza adeguata. Siamo partite da questa esigenza.

M.T.: La regia e le scelte di regia sono state sostanzialmente tutte condivise; a turno sul set c’era chi si occupava della regia e chi delle riprese. A livello di montaggio sono stata io a occuparmene manualmente e loro a supportarmi in qualità di registe. Le ragazze le abbiamo seguite sempre tutte e tre insieme, abbiamo passato molto tempo con loro anche prima del film e abbiamo creato un rapporto di fiducia, tanto che sono praticamente diventate nostre sorelle o quasi. Perciò è stato un percorso completamente condiviso.

 

Il vostro è un racconto di formazione; abbiamo appena visto Priscilla che in qualche modo ricalca gli stessi stilemi, come mai secondo voi al cinema funziona così tanto il coming of age? 

D.L.: Credo che il motivo sia l’universalità. Il nostro approccio è stato ovviamente molto intimo, ricco di primi e primissimi piani, necessario a entrare in quel mondo che volevamo raccontare. Partiamo da tre piccole storie, da un anno preciso della vita delle nostre protagoniste, ma piano piano queste diventano poi grandi storie perché si fanno interpreti di istanze universali, nelle quali chiunque può riconoscersi.

 

Nel film emerge il tema della sessualità intesa come superamento di barriere e pregiudizi. Quanto è importante oggi che il cinema parli o continui a parlare di questi temi e perché voi avete scelto la prospettiva delle tre protagoniste?

D.L.: Noi oggi abbiamo bisogno di film a tematica LGBT; il nostro ha la particolarità di raccontare storie di tre donne che tecnicamente non appartengono alla comunità ma che la abbracciano completamente, ne riconoscono valori e temi. Il nostro sguardo è femminile e crediamo che questo sia fondamentale, che lo sguardo femminile possa fare la differenza visto il tipo di esperienza che noi facciamo in quanto donne ogni giorno. È importante che il cinema parli di questi temi anche alla luce di ciò che accade quotidianamente; non solo un cinema LGBT, ma un cinema femminile che dia una prospettiva a partire da un’esperienza.

Quali sono state le maggiori difficoltà produttive del progetto? 

E.B.: Avevamo due sfide da affrontare: il fatto di essere produttori indipendenti e di produrre un’opera prima di tre registe insieme. Credo che sia fondamentale che il cinema italiano riesca a recuperare uno spirito indipendente, perché soffriamo di omologazione. È difficile essere produttori indipendenti perché in Italia ci sono pochi fondi ed è necessario guardare all’estero.

S.C.: Non è neanche facile trovare il modo adatto di presentare un documentario come questo. Non è facile riuscire a spiegare, anche solo a papabili co-produttori, quale sia la sfida, dove si vuole arrivare. Inoltre i meccanismi nei quali bisogna inserirsi per trovare fondi e via dicendo rischiano talvolta di andare a snaturare il progetto e quindi il nostro ruolo, che io penso debba essere di accompagnamento ad autori e autrici e non di semplice creazione di un qualcosa di vendibile.

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