#Venezia72 – Arturo Ripstein: “Il paradosso è l’unica opzione possibile!”

Venezia tributa un omaggio ai cinquant’anni di attività di Aruro Ripstein e presenta fuori concorso il suo ultimo film: La calle de la Amargura

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Oggi il festival di Venezia ha consegnato al cineasta messicano Arturo Ripstein una targa speciale per celebrare il 50° anno della sua attività. Assieme alla sua fedele sceneggiatrice Paz Alicia Garciadiego ha parlato del suo ultimo lavoro presentato fuori concorso il suo ultimo film, La calle de la Amargura.

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Perché ha scelto di girare il film in bianco e nero?
Arturo Ripstein: Sono figlio di un produttore cinematografico ed ho passato la vita a studiale il cinema. Sono stato molto influenzato dai lavori dei maestri del cinema messicano guardando i quali ho capito che non c’è un modo migliore di raccontare il mio mase. Tutti i miei film sono stati pensati per essere realizzati in bianco e nero ma a volte i produttori non me l’hanno consentito e quindi ho realizzato anche alcuni film a colori. Inoltre il bianco è nero lascia spazio all’mmaginazione e permette allo spettatore di terminare il mio lavoro.

Ho la sensazione che il suo film sia legato al cinema tedesco, è così?
Arturo Ripstein: In un certo senso si, perché l’espressionismo tedesco è stato fondamentale per i registi della mia generazione, ci ha insegnato a trasmettere le emozioni.
Paz Alicia Garciadiego: La principale fonte di riferimento per il film è la letteratura picaresca messicana.
Arturo Ripstein: In cui il paradosso è l’unica opzione possibile!

la calle de la amarguraCosa pensa del nuovo cinema latino americano? Ad esempio qui in concorso c’è Desde Allà di Lorenzo Vigas che è una coproduzione messico-venezuelana.
Paz Alicia Garciadiego: Secondo me l’unico movimento culturale realmente sudamericano è stato quello del “realismo magico” che si è sposato molto meglio con la letteratura che con il cinema. Se guardiamo agli ultimi 40 anni della nostra cinematografia, non mi sembra che ci siano film che, utilizzando questo stile, possono considerarsi ancora attuali.
Arturo Ripstein: Conosco ed apprezzo il lavoro di Lorenzo Vigas e gli auguro buona fortuna. Per quanto riguarda il concetto di cinema latino americano, ritengo che questa definizione abbia più una valenza geopolitica che non culturale, può capitarmi più frequentemente di trovare una sintonia con uno spagnolo che, ad esempio, con un peruviano.
Paz Alicia Garciadiego: E’ la lingua che forma la cultura, tutti noi di lingua spagnola siamo parte della stessa cultura.

Visto che questa sera il festival le tributa un omaggio per i suoi cinquant’anni di attività, se la sente di fare un bilancio della sua carriera? Che cosa l’ha resa felice?
Arturo Ripstein: Felice? La felicità è l’ultima delle emozioni che deve provare un regista quando lavora. Io, ad esempio, filmo sempre con un grande rancore. Sono felice, però, di aver potuto svolgere la professione di regista perché ho cosciuto il cinema da bambino insieme a mio padre, l’ho amato da subito e lo amo ancora.

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