#Venezia75 – The Sisters Brothers. Incontro con Jacques Audiard e il cast

Jacques Audiard a Venezia insieme a Reilly, Bidegain e Desplat per presentare il suo western “da europeo”, dove al fondo si rintraccia il tema della fratellanza e del ritorno alla madre. Concorso.

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Il Festival di Venezia ha accolto oggi il grande regista francese Jacques Audiard, che porta in Concorso il suo ultimo lavoro, il western The Sisters Brothers, primo impegno cinematografico in lingua inglese per il cineasta. Audiard ha presentato il film alla stampa insieme a uno degli interpreti principali, l’attore statunitense John C. Reilly, allo sceneggiatore Thomas Bidegain e al noto compositore francese Alexandre Desplat, che intraprese la sua carriera nel cinema proprio al fianco di Audiard negli anni Novanta. Rimangono nella lista degli assenti dal Lido i due attori Joaquin PhoenixJake Gyllenhaal, anch’essi grandi volti protagonisti del film.
The Sisters Brothers – dall’omonimo romanzo di Patrick deWitt – racconta la vicenda dei fratelli Charlie (Phoenix) ed Eli Sisters (Reilly), veri “duri” che non hanno il minimo scrupolo nel commettere omicidi. Il minore, Charlie, sembra essere nato con la capacità di uccidere nel sangue; al contrario, il maggiore Eli sembra un uomo semplice che auspica a una vita normale. Dopo essere stati ingaggiati dal Commodoro per raggiungere e uccidere un uomo, si imbarcheranno in un travagliato viaggio dall’Oregon alla California che, nel frattempo, metterà a dura prova il loro legame fraterno.

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Il regista ha raccontato all’inizio dell’incontro il suo primo entusiasmante contatto con il romanzo di deWitt, svelando un interesse nato solo grazie a un fidato consiglio provenutogli da Toronto; Audiard, aggiunge che non avrebbe probabilmente mai raccontato questa storia se ne avesse preso conoscenza “da solo”. Il genere del film sembra diventare presto il tema prediletto dell’incontro. Così si è espresso Audiard sul suo rapporto con il western e su una sua presunta operazione di “reinvenzione” del genere: «Non sono molto esperto di western, mi piacciono quelli degli anni Settanta, ma credo che molte delle invenzioni che si trovano nel mio film siano già presenti nel romanzo stesso, che è un’opera irresistibile. Tuttavia, il vero riferimento del film si può considerare The Night of the Hunter di Laughton… Non ho pensato a Sergio Leone… Nel western c’è tutta una mitologia che non mi appartiene molto essendo europeo. Il vero tema del romanzo è piuttosto cosa si fa della violenza, dei padri fondatori…».

La parola passa poi al simpatico Reilly, che ha raccontato del suo primo incontro con la sceneggiatura e del suo sentire una forte empatia con la natura del personaggio interpretato. Scherza sulla difficoltà dell’andare a cavallo durante le riprese, ma poi torna serio quando afferma che Audiard è, per lui, il più grande regista in circolazione – “ossessionato dalla realtà della performance” – e su quanto reputi importante la possibilità di costruire dei ponti tra luoghi diversi e lontani.
Segue a ruota Desplat, che riconferma di nuovo i riferimenti del film, tra i quali spicca Little Big Man di Penn: «La domanda vera è stata “come fare una musica per un film western che non sia da film western? Come allontanarsi da Morricone?”. Se pensiamo che non si tratta di un western troveremo molte più possibilità… Il western era la trappola da evitare!».
Il film rimane strettamente intrecciato all’America, proprio come accade per ogni western – ha affermato Bidegain – , ma Audiard scava più affondo e rintraccia al cuore dell’opera una sorta di percorso di crescita dei personaggi: «Per me il film è come un romanzo di formazione, come se si trattasse di due adulti che sono rimasti a dodici anni. Forse si tratta di una serie di piccole felicità… Nel finale – molto vicino a quello di Dheepan si apre la possibilità di trovare un posto tranquillo: è un ritorno alla madre senza che ci sia l’elemento perturbatore del padre». E riguardo a una presunta assenza nel film di amore e sentimento, il regista replica a dovere, lucidamente: «Non ci sono storie d’amore tra uomo e donna, ma in realtà il mio film parla di fratellanza che è, appunto, una forma d’amore. Trovo che nel mio film ci sia tanto amore; ci sono diversi gradi d’amore nel cinema».

L’incontro si chiude parlando ancora una volta con i presenti di femminismo e di parità di diritti, soprattutto nel settore culturale. Audiard, senza compiacimento, esprime un pensiero forte e chiaro che riassume quelle che, a suo avviso, dovrebbero rimanere le domande più urgenti da porsi su questo tema così importante: «Bisogna porsi questa domanda: ma i festival hanno sesso? Sono 25 anni che i miei film vanno in giro per i festival e non ho mai visto molte donne. Ho sempre visto, invece, sempre gli stessi volti, sempre gli stessi uomini ma in ruoli diversi. Per me deve essere una questione di uguaglianza e giustizia: l’uguaglianza si conta e la giustizia si applica!».

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