Villaggio dei dannati, di John Carpenter

Glaciale nelle atmosfere, soffuso nella forma, un remake dove si agitano questioni complesse sull’empatia e la sostanza dell’umanità. Stasera, ore 21:15, Mediaset Italia 2

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Un sussurro: è quello che nei minuti iniziali si introduce come una minaccia nel villaggio di Midwich, notato soltanto dal dottor Alan Chafee, che non a caso poi diventerà l’ultimo baluardo nella sfida dell’umanità. Così come sussurrata è anche l’intera natura di un film sospeso, atmosferico, il più vicino a Fog che John Carpenter abbia mai realizzato (anche i luoghi sono pressoché gli stessi), distante dalle due opere in cui pure è incastonato, i ben più barocchi Il seme della follia e Fuga da Los Angeles. Villaggio dei dannati è, in tutto e per tutto, un film insinuante, che crea progressivamente un senso di oppressione lavorando con discrezione sugli spazi e sui toni della colonna sonora (ancora una volta composta dal regista, insieme a Dave Davies). Persino il lavoro sul testo originario è leggero, con piccoli scarti, in quello che rimane l’unico autentico remake dell’autore, al contrario delle radicali reinvenzioni cui ci aveva abituato con La cosa e la trasposizione di Christine, entrambi distantissimi dai modelli.

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Il che naturalmente porta all’annosa questione di un film apparentemente poco carpenteriano nella sostanza, nato per risolvere anche il contenzioso con la Universal. In base al contratto di quattro pellicole stipulato a fine anni Ottanta (da cui erano nati Il Signore del Male e Essi vivono), Carpenter ne doveva ancora due alla casa del mappamondo, e la cosa fu risolta prendendo in carico questo progetto di remake, che gravitava sulle scrivanie dello Studio da troppo tempo. Anche il cast è di autentici sopravvissuti: l’ex Superman Christopher Reeve (in quello che resta il suo ultimo ruolo importante prima del tragico incidente), l’ex signora Crocodile Dundee Linda Kozlowski, l’ex Luke Skywalker Mark Hamill, fino alla scelta di Kirstie Alley come scienziata di turno, in un periodo in cui l’attrice sembrava definitivamente consegnata alla commedia. Le dichiarazioni d’epoca del regista sembrano mettere le mani avanti, dichiarando la volontà di restare semplicemente vicini al prototipo di Wolf Rilla, richiamato nei crediti insieme al romanzo di John Wyndham (“avevo veramente amato la storia [originale], si trattava solo di attualizzarla, di renderla più moderna”).

Sottotraccia però serpeggiano altre inquietudini. Rispetto agli anni Sessanta, le chiavi di lettura ideologiche sono ormai superate e si guarda alla sostanza dell’essere umani: all’infanzia più volte chiamata in causa dall’autore, quando si era trovato strappato alla città d’origine per ritrovarsi insieme alla famiglia in una comunità più piccola e da lui giudicata ostile. Cosa determina dunque il senso dell’umanità, del sentirsi un nucleo coeso? Nell’apparente semplicità del rifare, Villaggio dei dannati è il film carpenteriano che più si interroga sull’empatia, sul capire le ragioni altrui per determinare un terreno comune in cui le specie possano coesistere. Lasciando gravitare la forma del racconto fra l’attesa e lo scoppio di violenza, tra la pietà e il fanatismo, fra l’evoluzione rappresentata dagli alieni e la regressione di un villaggio progressivamente sempre più propenso a farsi giustizia da sé. Questioni complesse, dunque, cui non può dare risposta una religiosità forte ma realmente assente – e che nei suoi rispecchiamenti con l’idea della natività causerà al film un divieto pensatissimo ai minori di 18 anni nella cattolica Italia.

Il punto di vista diventa così necessariamente quello dell’altro, dei bimbi albini che sanno leggere nel pensiero, ma non capiscono l’utilità dei sentimenti e osservano il villaggio con freddezza, preoccupati solo di sopravvivere. Sono loro a determinare realmente il tono di questo film apparentemente glaciale, sussurrato, ma che si apre a punti di vista problematici: come quello di David, il bambino “incompleto”, privo di controparte, l’invenzione più autenticamente “umana” del film, assente nell’originale e che perciò si insinua nella sua rilettura in maniera discreta, ma forte. Come tutte le dinamiche di questo film piccolo ma potente.

 

Titolo originale: Village of the Damned
Regia: John Carpenter
Interpreti: Christopher Reeve, Linda Kozlowski, Kirstie Alley, Lindsey Haun
Durata: 98′
Origine: USA, 1995
Genere: Fantascienza/Horror

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.33 (3 voti)
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