"Two Sisters" di Kim Jee-woon

Saggio di solipsismo spinto al paradosso, l'ultimo film di Kim Jee-woon scompone segmenti autonomi di paura in un quadro schizofrenico di incomunicabilità e terrore. Tra sensualità manierista ed evocazioni psicanalitiche, la narrazione passa in secondo piano, orpello disgiunto e ormai inutilizzabile

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Quando l'estetica trionfa sul cinema, relegandolo in dispotici anfratti narrativi. A una prima visione Two Sisters raggela per l'assolutezza formale che non concede ripensamenti; storia di nevrosi, schizofrenia, infantilismo e nessuna ironia, rimane sospeso tra indagine psico-antropologica, esercizio metacinematografico, tour de force tecnico e la riscrittura in chiave moderna di un racconto tradizionale. Soo-yeon e Soo-mi, due sorelle insicure e solitarie, tornano a casa dopo alcuni problemi di salute. Ad accoglierli un padre-assente in preda alla depressione e una matrigna dispotica, maniaca della pulizia. Sulla famiglia aleggia il ricordo della madre, rifugio dagli spettri del presente. Ma la mente umana è una selva intricata, e le apparenze nascondono un baratro d'orrore.

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Ambizioso e presuntuoso al contempo, l'ultimo film di Kim Jee-woon non è altro che l'approfondirsi di un percorso rivolto all'ermetismo minimal-perfezionista, in una ricerca dagli esiti ancora incerti che potrebbe rivelare nuove sorprese quanto solo (e più semplicemente) perdersi nel solipsismo e nella tautologia. Una implosione straniante rispetto alla divertita commedia nera The Quiet Family (che dopo N°3 aveva rivelato il talento di Choi Min-shik – si veda al capitolo Old Boy) e alla magica disillusione di The Foul King, poetica storia di un perdente votato all'eroismo mascherato. Le  avvisaglie di un cedimento era possibile percepirle nell'episodio "Memories" di Three, omnibus panasiatico di due stagioni orsono, succube di un rigore esasperato in cui la trama veniva scarnificata a favore dell'apparenza. Maestoso nella sua claustrofobia caleidoscopica, Two Sisters riduce ulteriormente all'osso la storia (quattro personaggi e un'unica inquietante location – manna per scenografi, carpentieri e guardarobisti), inscenando l'ossessione della memoria, dei ricordi e della volontà. Lo fa con abnegazione inoppugnabile, non risparmiando balzi sulla sedia orchestrati con luciferina sagacia; totalmente assente, ad ogni buon conto, una chiave di volta in grado di incunearsi nella mente dello spettatore, ossia un linguaggio comune capace di comunicare con l'esterno. Lo spettatore si ritrova così incatenato a un tavolo autoptico, incastrato nel gioco mentale tra il regista e i suoi personaggi. Spiazzante, affascinante e senza dubbio irrisolto, Two Sisters con ogni probabilità irriterà la maggior parte di quelli che non ha in precedenza allontanato. Eppure, tra le macerie di una materia sibillina e crepitante, si nascondono sprazzi di autentico acume. Algida, sensuale e involuta, la pellicola di Kim Jee-woon resta in bilico sul baratro dell'irrisorio, giocando coi sensi e dimenticandosi del resto.


 


Titolo originale: Janghwa, Hongryeon


Regia: Kim Jee-woon


Sceneggiatura: Kim Jee-woon


Fotografia: Lee Mo-gae


Montaggio: Lee Hyun-mi


Musica: Lee Byung-woo


Scenografie: Jo Geun-hyun


Interpreti: Im Soo-jung (Soo-mi), Moon Geun-young (Soo-yeon), Yeom Jung-ah (Eun-joo), Kim Gab-soo (padre)


Produzione: Masulpiri Pictures


Distribuzione: Medusa


Durata: 115'


Origine: Corea del Sud, 2003


 

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