Addio a Giuseppe Rotunno, il maestro della luce

È morto il 7 Febbraio a 97 anni nella sua casa di Roma il direttore della fotografia preferito da Visconti e Fellini. La sua carriera ha marchiato il cinema internazionale del secondo Novecento

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Se ne è andato nella sua casa di Roma Giuseppe Rotunno, “il maestro della luce” italiana più elegante e barocca, direttore della fotografia di alcuni dei nostri film più apprezzati nel mondo. Ma non solo: la sua altrettanta feconda parte di carriera l’ha visto in giro per il mondo sui set internazionali più prestigiosi, fino ad arrivare alla nomination all’Oscar nel 1980 per All That Jazz, di Bob Fosse, con cui vince anche il Bafta. Se Ennio Morricone ha rappresentato la colonna sonora delle nostre vite Giuseppe Rotunno ne ha rappresentato l’occhio. A comunicare la morte avvenuta ieri all’età di 97 anni è stata la famiglia. I funerali saranno in forma privata. “Peppino” Rotunno nasce nella capitale il 23 marzo del 1923. Nel 1938 in seguito alla morte del padre, proprietario di una sartoria, lascia gli studi per aiutare la famiglia e va a lavorare giovanissimo a Cinecittà, dove inizia come apprendista elettricista per poi diventare fotografo di scena presso il famoso studio fotografico dell’attore/fotografo Arturo Bragaglia. In quegli anni diventa presto assistente e operatore di macchina fino a quando durante la seconda guerra mondiale viene addirittura deportato in Grecia. Durante quei turbolenti anni fu comunque operatore di reportage e collaborò con il regista Michele Gandin col quale firmò numerosi documentari tra cui Cristo non si è fermato a Eboli, opera del 1952 che evidenzia il tema dell’alfabetizzazione postbellica e che vince il Leone d’oro a Venezia. Tornato in Italia stabilmente arrivò presto alla vera svolta della sua carriera e cioè il ruolo di direttore della fotografia per la seconda unità di Senso, di Luchino Visconti. Pur senza essere accreditato, fu lui a condurre a termine le riprese del film quando Robert Krasker abbandonò il set per contrasti con il regista mentre l’anno successivo firmò la sua prima direzione della fotografia con Pane, amore e…, di Dino Risi. Ma l’incontro con Visconti fu fondamentale perché segnò l’inizio di un sodalizio destinato a fare la storia del cinema: Rotunno fotografa i capolavori più importanti del regista, da Le notti bianche a Rocco e i suoi fratelli, da Il gattopardo a Lo straniero, oltre a due episodi del collettivo Boccaccio ’70 (Il lavoro e Le streghe, La strega bruciata viva). “In qualche modo Visconti è stato mio padre in questo lavoro – spiegava Rotunno in un’intervista – ho avuto quel rapporto per il lavoro, per la vita, per sempre”.

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Nel corso di questa collaborazione passò con incredibile continuità dai rarefatti chiaroscuri di Rocco e i suoi fratelli, miglior fotografia a Cannes 1961, agli splendidi colori di grande suggestione pittorica de Il gattopardo. L’altro incontro fondamentale nel suo percorso, in un’epoca in cui era difficile che collaboratori artistici di lunga durata passassero ai colleghi rivali, è stato quello con Federico Fellini. Per il regista romagnolo cura la fotografia per l’episodio Toby Dammit di Tre passi nel delirio, per poi arrivare a firmare i film della fase più barocca: Satyricon, Roma, Amarcord, Il Casanova, Prova d’orchestra, La città delle donne, E la nave va, e a inizio anni ’90 anche alcuni spot pubblicitari. Fellini lo vuole anche come direttore della fotografia per il mai realizzato Il viaggio di G. Mastorna: “Sono rimasto con lui per un anno, facendo tutto quello che fai per un amico che è molto malato – raccontò Rotunno -. Il film fu rimandato, ma Fellini mi disse che non potevo lasciarlo“. L’impegno con i due maestri del cinema italiano non gli impedì di realizzare altre indimenticabili collaborazioni con Vittorio de Sica (Ieri oggi e domani, I girasoli), Valerio Zurlini (Cronaca familiare), Mario Monicelli (La Grande guerra, I compagni), Lina Wertmuller (Film d’amore e d’anarchia), Benigni e Troisi (Non ci resta che piangere) ma anche esponenti del cinema popolare e di genere come Sergio Corbucci (Ecco noi per esempio) e Dario Argento (La sindrome di Stendhal). Il suo talento visivo lo portò a segnare una stagione del cinema internazionale nella seconda parte della sua carriera: dai film con Martin Ritt (Jovanka e le altre) e John Huston (La Bibbia), a quelli con Mike Nichols (Conoscenza Carnale, A Proposito di Henry e Wolf) e Terry Gilliam (Le avventure del barone di Munchausen) fino a Sidney Pollack (Sabrina). Il grande apprezzamento mondiale lo portò ad essere il primo direttore della fotografia non americano ad essere ammesso, nel 1966, all’American Society of Cinematographers. A dimostrazione della sua voglia di sperimentazione sui set di tutto il mondo forse basta questo aneddoto personale: “Mi piace così tanto mettere la luce che non posso fermarmi. Quando giravo con Federico Fellini, non era ancora finita una scena, che io stavo già mettendo la luce per la successiva, perché in un certo senso era come se avessi paura di perdere l’intuizione”. Proprio con l’alter-ego attoriale del regista riminese chiuse la sua carriera, filmando le rughe e la dolente stanchezza di Marcello Mastroianni nello splendido Mi ricordo, sì, io mi ricordo, girato nel 1997 dalla compagna dell’attore Anna Maria Tatò. Dopo il ritiro dai set dedica negli ultimi decenni tanto spazio anche all’insegnamento, come docente responsabile del corso di Fotografia al Centro Sperimentale, dal 1988 fino al 2013, e al restauro di decine di capolavori da lui personalmente supervisionati. La luce su pellicola non sarà più la stessa senza Giuseppe Rotunno.

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