"Afterschool", di Antonio Campos
Voyeurismo, etica dell’immagine, dualismo dello sguardo: Antonio Campos mira alto, portando la sua macchina da presa nei corridoi e nelle stanze degli adolescenti spaesati e nevrotici. Li lascia fuori fuoco, inquadra porzioni di corpo e frammenti di volto, ma soffoca nell’esibizionismo stilistico riflessioni ingombranti e nobili intenti, accontentandosi di autocompiacersi quando potrebbe essere seriamente provocatorio e disturbante
A colloquio con lo psicologo della scuola, il quindicenne Robert parla della sua passione per i video. I film non gli interessano, gli piacciono solo quei brevi filmati che trova in rete, “quelli che sembrano cose vere”. Che sia l’esecuzione di Saddam, un porno domestico o una qualunque scenetta di vita familiare, nell’ipermercato dell’upload/download non fa molta differenza. Come il cinema abbia perso, per la generazione YouTube, ogni importanza tanto nella fruizione delle immagini quanto come veicolo per la decodificazione del reale a favore dei nuovi media, è una delle letture possibili che tenta di offrire il primo lungometraggio di Antonio Campos, classe 1983. Storia di ordinario squallore adolescenziale, che ha inizio con una sequenza di reali clip pescate in rete, si allarga allo sguardo catatonico di chi con quei contenuti sta interagendo, e poi lascia intravedere l’ambiente asettico e impersonale di una stanza per studenti. Lo scenario è una di quelle scuole americane a cinque stelle che somministrano indifferentemente corsi di alta formazione e psicofarmaci. Il protagonista è Robert, adolescente introverso e poco allegro, intelligente ma non abbastanza fico da essere popolare. Condivide la stanza con Dave, promettente spacciatore di droga, tenta confessioni telefoniche con una madre che vuole soprattutto essere lasciata in pace, e intrattiene l’unica relazione autentica con un computer su cui si procura il suo nutrimento visivo quotidiano. Quando per esigenze di curriculum accetta di realizzare un video sulla scuola, s’imbatte nell’agonia delle due ragazze più popolari del liceo, bellezze radiose finite a vomitare sangue per una dose di cocaina tagliata male. Di fronte all’esperienza reale della morte, il suo primo istinto è di restarsene al sicuro dietro il filtro della macchina da presa. Cercherà l’elaborazione del lutto tra sedute dallo psicologo e visioni reiterate delle immagini dell’episodio, tra l’opportunità di un confronto reale con la vita e il tentativo di ricondurre quanto vissuto nell’ottica familiare del video amatoriale.
Voyeurismo, etica dell’immagine, dualismo dello sguardo: Campos mira alto, portando la sua macchina da presa nei corridoi e nelle stanze degli adolescenti spaesati e nevrotici, con un occhio a un riferimento obbligato come l’Elephant di Gus Van Sant. Li lascia fuori fuoco, inquadra porzioni di corpo e frammenti di volto, o li spia in lunghi piani sequenza che sembrano le riprese di una videocamera di sorveglianza. Raggiunge a tratti una sua immediatezza, per poi perderla in dialoghi forzati e in maldestre divagazioni sull’ipocrisia delle istituzioni scolastiche. Ex studente di una prep school egli stesso, ha sensibilità nel cogliere certe vulnerabilità adolescenziali – come nella scena del primo rapporto sessuale tra Robert e la compagna Amy, consumato in fretta, mentre gli occhi di entrambi tradiscono l’ossessione di essere guardati –, ma soffoca nell’esibizionismo stilistico riflessioni ingombranti e nobili intenti, accontentandosi di autocompiacersi quando potrebbe essere seriamente provocatorio e disturbante.
Titolo originale: id.
Regia: Antonio Campos
Interpreti: Ezra Miller, Jeremy Allen White, Emory Cohen, Michael Stuhlbarg, Addison Timlin
Distribuzione: Bolero Film
Durata: 120’
Origine: USA, 2008
Origine: USA, 2008