Arnold

La docu-serie Netflix racconta le principali tappe della vita privata e professionale di Schwarzenegger tra narcisimo, sincerità, ambizione e cadute.

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Un settantacinquenne Arnold Schwarzenegger è in una vasca calda all’aperto e osserva l’orizzonte innevato. Fuma il sigaro. Sembra quasi la versione invecchiata e scultorea del maggiore Dutch di Predator, regia di John McTiernan anno 1986, ovvero la golden age di Schwarzy attore. “Per tutta la vita ho avuto l’insolito talento di riuscire a visualizzare molto chiaramente delle cose davanti a me”. Il giovane Arnold aveva davanti a sé l’immagine di quello che sarebbe diventato. Un’immagine dal futuro direbbe qualche filosofo contemporaneo della distopia. Quasi una preveggenza. Nella docu-serie Arnold, prodotta da Netflix e composta da tre puntate dalla durata di un’ora ciascuna, l’attore/culturista/politico si racconta alternando narcisismo e sincerità e ritorna spesso a questa metafora di visualizzare nitidamente un’immagine di sé da inseguire e costruire con sacrificio e disciplina. Le tre puntate delle serie rappresentano le tre principali tappe realizzative di Schwarzy e corrispondono anche a tre Arnold differenti. Tre immagini da contemplare e mettere in forma, realizzare, incarnare: 1)l’atleta, 2)l’attore, 3)l’americano.

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E quindi si comincia con la turbolenta adolescenza trascorsa nell’Austria tramortita e traumatizzata dalla Seconda Guerra Mondiale, il piccolo borgo di Thal, il rapporto burrascoso con il padre e quello competitivo con il fratello, entrambi scomparsi prematuramente. L’epifania al cinema e sui magazine di fronte al fisico scultoreo di Reg Park e la conseguente passione per il culturismo. Allenamenti su allenamenti. E poi le vittorie a raffica in tutte le principali categorie sportive del body building (Mister Mondo, Mister Universo, Mister Olympia) che ben presto si trasformano in un biglietto di sola andata per l’America.

È una docu-serie celebrativa ma che non lesina la pagine oscure del personaggio (la difficoltà nel provare emozioni in tutta la prima fase della vista, la fuga dalla famiglia e la nascita del figlio illegittimo Joseph nel 1997). Il successo cinematografico è raccontato nel secondo episodio, dove dominano gli anni ’80 e i primi anni ’90, Reagan, il cinema action e la rivalità con Sly Stallone, intervistato insieme a Danny De Vito e Ivan Reitman che ricordano il grandissimo successo de I gemelli (“Julius è il personaggio che più mi assomiglia” dice lo stesso Schwarzy) e ovviamente all’amico/mentore James Cameron.

La parte più sorprendente è forse la terza, dove viene raccontata l’ascesa politica a governatore della California e il declino privato dettato soprattutto dagli scandali extra-coniugali. Anche in questo caso viene raccontata la definizione di una immagine mediatica (la star di Hollywood che scende in politica) che ben presto assume i contorni di una identità politica ed etica (le importanti leggi ecologiste intraprese dalla sua giunta e la lungimiranza con cui è riuscito a far dialogare la destra e la sinistra su progetti politici all’avanguardia) da affinare attraverso l’ambizione, ma anche i tentativi falliti. Così alla fine la vita di Schwarzenegger, raccontata direttamente dall’attore davanti alla telecamera con l’inserto di tantissimo materiale di repertorio, è come se diventasse un bildungsroman in tre atti, un rito passaggio che dal corpo muscolare di pure estetica e superficie porta alla coscienza politica e sociale e al dolore per il tempo che passa attraverso una fase intermedia contraddistinta dal cinema, necessaria ma non predominante nell’economia della serie documentaria.

 

Titolo originale: id.
Regia: Lesley Chilcott
Interpreti: Arnold Schwarzenegger, James Cameron, Karl Gerstl, Eric Morris, Ken Waller, Linda Hamilton, Danny De Vito, Jamie Lee Curtis, Susan Kennedy, Charles Gaines
Distribuzione: Netflix
Durata: 63′ (1° ep.), 62′ (2° ep.), 66′ (3° ep.)
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3 (1 voto)
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