Blog DIGIMON(DI) – Distanziamento (o avvicinamento?) post-mortem: After Life e Upload

Nel pieno di questa pandemia globale arrivano due Serie Tv che sembrano proprio mettere il dito nella piaga della nostra condizione post-moderna di post-morte: After Life e Upload.

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Un giorno qualcuno che avrà tempo e voglia dovrà fare una ricerca seria per capire per quale motivo sia stata scelta, nel pieno della Pandemia da COVID-19, la definizione “distanziamento sociale” anziché quello, più opportuno e sensato di “distanziamento fisico” (almeno in Canada hanno provato a distinguere…).

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Certo è che mai come in questi mesi siamo tutti messi a confronto diretto con forme più o meno crudeli di lontananza, di distanziamento dagli altri. In un modo o nell’altro abbiamo accettato che, oltre i nostri conviventi, TUTTO il resto del mondo, le persone care, gli affetti, gli amici o i colleghi che vediamo tutti i giorni, divenissero improvvisamente delle figure “bidimensionali”, trasferite definitivamente negli schermi della comunicazione social. Di colpo, senza che nessuno ci avvisasse in tempo per prepararci, siamo noi stessi diventati figure bidimensionali, accettando la nostra riduzione corporea alla trasformazione operata dai mezzi di comunicazione digitale.  Il mio corpo è ancora qui, vivo, pulsante, magari con qualche acciacco ma ancora terribilmente sensibile e umano, ma nella comunicazione con il mondo esterno, sono diventato un mezzo busto televisivo, una figura sfocata con una libreria dietro le spalle che passa attraverso applicativi come Skype, Messenger, Zoom o quello che volete.

Abbiamo perso il corpo? Oppure…la testa? Quella che abbiamo vissuto in questi mesi non è stata forse una moderna “rappresentazione della morte del XXI secolo”? Dei morti, nei tempi recenti, rimaneva il ricordo,  di cui via via perdevamo i contorni, le definizioni. Ma la fotografia prima e la riproduzione video dopo ci hanno permesso di trattenere i ricordi su supporti diversi della nostra memoria, dandoci la possibilità di ricordare con maggiore definizione i nostri cari perduti e il passato.

Quindi la morte non ci fa svanire più nei ricordi? Rimaniamo, in qualche modo, “vivi per sempre”?

Ed ecco che nel pieno di questa pandemia globale arrivano sulle due principali piattaforme mondiali dello Streaming  (i veri vincitori di questa epoca…), Netflix e Prime, due Serie Tv che sembrano proprio mettere il dito nella piaga della nostra condizione post-moderna di post-morte: After Life e Upload.

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Entrambe hanno a che fare con la morte, entrambe soffrono del rapporto con la morte e cercano, a tratti, anche di trasformarla in commedia, seppure nera. Ma rimettendo in discussione i principi sulla quale ci siamo fino ad oggi basati sulla distanza vivo/morto, riconfigurando un universo alternativo dove chi muore non è più detto che ci lasci per sempre…

Il Tony, protagonista di After Life (giunta alla 2° stagione), creato e interpretato dallo straordinario Ricky Gervais, dopo la scomparsa della moglie vive immerso nei ricordi, che guarda e riguarda sul suo computer pieno di video della sua vita con lei. E’ un “altro mondo”, fatto di ricordi confermati e resi vivi dalla visione dei momenti vissuti insieme. Nella “vita reale” è un disadattato, spiantato giornalista dall’humour nero, sempre in bilico con il desiderio di suicidarsi e farla finita.

Ma nel frattempo vive delle relazioni surreali con colleghi, vicini, personaggi curiosi (una prostituta, un postino, ecc..) che entrano comunque nella sua vita svogliata. Gli unici momenti di vero conforto sono quelli che trova sulla panchina di fronte alla tomba della moglie (il luogo “classico” della rappresentazione della morte e dei ricordi), insieme all’anziana signora che ogni giorno va a trovare li’ il suo vecchio marito scomparso.  Mentre la vita gli scorre come un incubo da cui sfuggire, gli unici elementi che lo riescono ancora a commuovere sono il cimitero e i vecchi video familiari.

Forse il cinema è diventato un nuovo cimitero?

Upload, nuova serie di quel geniaccio di Greg Daniels, porta questa sorta di nichilismo ben oltre la vicenda personale: nel 2033 esiste ormai un “aldilà digitale” dove le persone morte potranno continuare a vivere una sorta di “seconda vita”, in un Paradiso digitale, dove potranno convivere con altri in luoghi splendidi e persino continuare a mantenere una “relazione a distanza” con i vivi nel “primo mondo”.  Ma il capitalismo qui ha trovato il modo di sfruttare al meglio anche il post-morte: esistono mondi di prima classe e di infima classe, la cosiddetta 2GB dove una volta esaurita la memoria il defunto rimane congelato fino al nuovo mese.

Siamo di fronte, anche qui, a una nuova versione del post-morte: il defunto è ancora vitale, pensa, prova sentimenti, parla e agisce, ma il tutto in una dimensione parallela, un viaggio (per ora) di sola andata, dove non è previsto un ritorno nella vita reale, ma solo una comunicazione con i vecchi affetti in 2D,  anche se con possibili viaggi in VR da parte dei vivi che vogliano sperimentare “l’altro mondo”.

Lo stile è asciutto e la storia una black comedy che sembra virare al thriller per trasformarsi in una commedia nera esistenziale, ma il vero punto di Upload è che… ci si può persino innamorare di un morto, e viceversa! I due protagonisti Nathan (Robbie Amel) e Nora (la cantante Andy Allo), sono rispettivamente il morto nella nuova dimensione, e la customer care (“chiamami Angelo” dirà per facilitare la comunicazione) dell’Azienda che gestisce questo  nuovo mondo.

Upload il funerale

L’intreccio è un po’ assurdo, a tratti sembra di stare dentro qualche sketch del vecchio Saturday Night, ma quello che ci interessa qui è il concetto di trasportare la morte oltre la dimensione umana del ricordo.  Non si scompare più definitivamente, si sta – semplicemente come magnificamente rappresentato nel giorno del funerale di Nathan – dall’altra parte dello schermo.

Il Tony di After Life si sente vivo solo quando riguarda il suo passato nei video che consuma disperatamente da solo, la Nora di Upload, che ha una vita complicata nel mondo reale, giorno dopo giorno trova “un senso in più” nel suo lavoro di assistenza, cominciando a provare sentimenti per l’uomo “dall’altra parte dello schermo”.  Certo le storie e i mondi sono differenti, da una parte il rapporto con il morto può essere rielaborato solamente attraverso la re-visione in video dei momenti di vita insieme, dall’altra si può persino instaurare una nuova relazione, tra “i vivi e i morti” (chissà che ne pensa Roger Corman..).

Ma sia Upload che After Life, al di là dei loro mondi semplici e complessi, tristi e folli che ci presentano, sembrano evocare con straordinaria lungimiranza proprio quello che rappresenta lo spettro e il paradigma di questi tempi: il distanziamento sociale.  Ricky Gervais delineando un percorso al contrario, pieno di ostacoli e cadute, Gregg Daniels ipotizzandolo come sorta di nuova “regola sociale”, tenuta in piedi da Multinazionali della Comunicazione Social post-Facebook (che pure viene citata ironicamente).

Alla fine quello che ci resta sembra quasi suggerito dalla prima, incredibile sequenza (post intro) di Upload: un vagone della metro di New York, pieno zeppo di persone, alcune con le mascherine a coprirne il volto. Lentamente la macchina da presa si avvicina e poi sofferma su una anziana signora, che sta vedendo un “vecchio film”, e Nora, che lo intravede e comincia a vederlo anche lei. Quando la signora se ne accorge, le porge lo schermo davanti agli occhi, per condividerne la visione.  E’ ancora il cinema quello che sembra unire, nell’immaginario della Serie, le persone che non si conoscono. E sapete quale film stanno vedendo? Uno dei film più geniali sulla perdita e sul “mantenimento dei ricordi” (e dell’innamorarsi dei “quasi” morti): 50 volte il primo bacio, con Adam Sandler e Drew Barrymore. Basta questa scena per decidere di godersi tutta la serie.

Ma noi, umani, ce la faremo a uscire dagli schermi?

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