Cannibal Holocaust, di Ruggero Deodato

Torna in sala il cult del regista che esige una presa di posizione nei confronti della messa in scena della violenza con una radicalità che non ha eguali nella storia del cinema italiano di genere.

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In una delle sequenze cruciali della prima parte del film, quando il clima di attesa non ha ancora lasciato il posto alle celebri efferatezze che seguiranno, il professor Harold Monroe assiste impotente alla tortura e all’uccisione di una giovane donna; vorrebbe intervenire nel tentativo di salvarla, ma la sua guida lo intercetta con la forza e glielo impedisce. Loro non possono fare nulla, anzi: hanno addirittura bisogno che l’indigeno porti a termine il suo macabro rituale, in modo poi da condurli a destinazione. Più delle violenze reali sugli animali, e più di qualsiasi altra scena per cui oggi il film può essere ricordato, di fatto questo rimane il momento chiave di Cannibal Holocaust, quello in cui viene messo per la prima volta nero su bianco il patto con lo spettatore, costretto da qui in avanti a registrare una sensazione sempre maggiore di impotenza. In fin dei conti tutto il resto è ormai anche troppo noto, a cominciare dalle polemiche, i guai giudiziari, i sequestri e le censure. Su Cannibal Holocaust tutti hanno detto la propria e, chissà, forse tutti hanno ragione: chi riesce a vederlo senza problemi, chi invece per riuscire a farlo è costretto a coprirsi gli occhi in determinate occasioni e, ancora, chi sceglie deliberatamente di rifiutarlo per una presa di posizione personale. Nulla da obiettare. Ma è proprio quell’impotenza di cui sopra che oggi, a più di quarant’anni di distanza, colpisce ancora maggiormente, come se tutto il tempo trascorso non sia riuscito affatto a sanare una ferita ancora aperta.

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Perché Cannibal Holocaust non nasce dal nulla: figlio dei mondo movie dei vari Cavara, Prospero e Jacopetti, del già avviato filone cannibalico (Lenzi, D’Amato, Martino, oltre che lo stesso Deodato con Ultimo mondo cannibale), del gore all’italiana che tra la fine dei Settanta e l’inizio degli Ottanta sembrava non conoscere limiti (Zombi 2 di Lucio Fulci è appena dell’anno precedente), ma soprattutto figlio di un’epoca dove le immagini dei morti ammazzati entravano violentemente dentro le case degli italiani attraverso i servizi dei tg in televisione. Da qui lo stratagemma – col senno di poi geniale – del film nel film, che non solo anticipa di quasi vent’anni il found footage di The Blair Witch Project ma di fatto costringe lo spettatore a identificarsi nel ruolo di carnefice, attraverso una sociologia certamente spicciola e di grana grossa (“chi sono i veri cannibali?” si domanda il professor Monroe nel finale), ma al tempo stesso spontanea e penetrante, appunto perché esige una presa di posizione nei confronti della messa in scena della violenza con una radicalità che non ha eguali nella storia del cinema italiano di genere. Forse consapevolmente o forse no (non è importante), nel 1980 Ruggero Deodato metteva in scena la totale subordinazione dell’autore rispetto all’immagine, l’impossibilità di venirne a capo, di controllarla, di plasmarla: sono le immagini che vivono di vita propria e creano Cannibal Holocaust, il suo regista e il suo mito, non il contrario. E quell’insistenza sulla geometria urbana di New York ripresa dal basso verso l’alto, con il World Trade Center che fa capolino in più di un’occasione, non è altro che l’ulteriore conferma di una supremazia che indossa l’abito scomodo e inquietante della preveggenza. Oggi il mondo è uno spettatore ormai assuefatto alla pornografia perché nel frattempo ha visto in video le decapitazioni degli ostaggi dell’Isis, le stragi filmate dagli attentatori con le bodycam addosso, le riprese a circuito chiuso della Columbine e gli incidenti mortali su YouTube: esattamente come i passanti per la strada davanti alla vetrina del negozio di televisori in una delle sequenze iniziali, con il manifesto gigante del Dracula di John Badham alle spalle (il vampiro…), a noi non resta altro che guardare, impotenti.

 

Regia: Ruggero Deodato
Interpreti: Robert Kerman, Gabriel Yorke, Luca Barbareschi, Francesca Ciardi, Perry Pirkanen, Paolo Paoloni, Salvatore Basile
Distribuzione: Cat People
Durata: 96’
Origine: Italia, 1980

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
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Il voto dei lettori
2.25 (4 voti)
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