Celles qui restent, di Ester Sparatore

Visto al MedFilm Festival di Roma, il documentario di Sparatore salta la frontiera, collocandosi nella realtà di attese e ingiustizia sociale vissuta dalle donne-fotografia di Tunisi

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La regista siciliana Ester Sparatore si è cimentata già una volta con l’isola di Lampedusa nel documentario Mare magnum – realizzato insieme a Letizia Gullo – , approfittando dello scenario politico delle amministrative 2012, quando il comune si trovò sconvolto da venti di cambiamento politico e, in pari tempo, turbato da tragici naufragi che attirarono sempre più l’attenzione mediatica sull’isola. Lampedusa diventa ora, al contrario del precedente lavoro, lo spazio del fuori campo: Sparatore salta letteralmente da una costa all’altra e, stanziatasi nell’assolata Tunisi, decide stavolta di filmare Celles qui restent, ossia donne, madri, sorelle e figlie rimaste in Tunisia ad aspettare risposte sugli uomini partiti con i barconi proprio verso Lampedusa.
L’indagine sulla frontiera in controcampo assume presto il sapore di un’umanissima epifania: la macchina da presa si fa largo – dichiarandosi a tratti come esplicita presenza testimoniale – nel quotidiano semplice di gesti e affetti familiari, tra sguardi innocenti di bambini inconsapevoli e volti di madri addolorate che affrontano con dignità impareggiabile la perdita e l’attesa. Sono queste le cosiddette “donne-fotografia”, le guerriere che sfidano il tempo mummificandolo nelle immagini dei volti dei nuovi desaparecidos; combattendo l’oblio sociale che incalza le loro storie di famiglia, minacciandone in conseguenza ogni futuro possibile.
Il tempo – per queste donne e per i pochi uomini rimasti – si riavvolge come il nastro di un video registrato: va avanti meccanicamente e, all’occorrenza, torna indietro, precisamente al giorno della partenza dei propri cari verso “un futuro migliore”. Così è anche per Om El Khir Ouirtani, la cui drammatica storia personale intreccia quella di molte altre madri e mogli, per le quali la donna sarà una sorta di guida verso l’insurrezione contro l’insensibilità politica generale.

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Il tempo viene riavvolto ogniqualvolta ci si fermi di fronte ai vecchi filmati trasmessi dai canali italiani, alla ricerca – in un disperato blow up – di volti conosciuti, ottenendo così la prova che non sia sempre il mare a inghiottire i corpi, ma di più una terra infame che non riconosce umanità né dolore. Ferino e inesorabile, quel tempo di attesa colmato dal passare di ricorrenze e ordinarietà come mille altre, si rivela crudelmente tra i segni dei corpi. Le secche ellissi temporali di Sparatore poggiano infatti sulle trasformazioni estetiche di Om El Khir, rinviando metaforicamente al percorso della sua lotta, deciso e ragionato inizialmente, poi sempre più prostrato e sofferente nelle battute finali. Nel frattempo, i bambini che giocavano tra le pozze di fango diventano giovani uomini, forse destinati già dal principio – come in un gioco impietoso – a replicare il destino degli altri uomini di famiglia.
Sparatore accompagna con discrezione la battaglia delle donne-fotografia, divenendo ella stessa parte dell’attestazione di una realtà impietrita e scarsamente considerata sia dentro che fuori confine. Con un enorme balzo qualitativo in avanti rispetto al precedente lavoro testimoniale realizzato a Palermo, la camera sa dove guardare e aspettare, lasciando che la realtà faccia capolino senza forzature. Lasciando che i bambini guardino e sorridano in macchina, nella totale sincerità di gesti e momenti di vita che sospendono il dramma.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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