Cetto c’è, senzadubbiamente, di Giulio Manfredonia
Cetto La Qualunque torna alla ribalta, nel terzo episodio della saga del duo Manfredonia-Albanese, in una veste ancor più estrema, eppure meno efficace, perché nel frattempo superata dalla realtà.
A dieci anni dalla sua elezione a sindaco di Marina di Sopra (Qualunquemente), nonché dopo la fuga nel finale di Tutto tutto niente niente, di Cetto La Qualunque si sono perse le tracce. Adesso vive in Germania, ha messo da parte ogni ambizione politica e gestisce una catena di ristoranti e pizzerie, ha inoltre una bella compagna tedesca, una figlia e due suoceri neonazisti che lo guardano con la “simpatia” riservata ai migranti. Il richiamo della sua terra resta però forte e la notizia dell’aggravarsi delle condizioni della zia che lo ha cresciuto è l’occasione giusta per tornare a Marina. Qui l’amata zia gli rivela un segreto sul suo passato, destinato a cambiargli la vita per sempre: è in realtà il figlio illegittimo di un principe. Incomincia così il piano di Cetto per riprendersi il suo regno e far tornare la monarchia in Italia.
Dopo i primi due capitoli usciti in sala a solo un anno di distanza tra loro, ce ne son voluti ben sette per vedere quest’ultimo atto della saga di Cetto La Qualunque, ormai storico personaggio interpretato da Antonio Albanese, portato con grande successo dal comico (e dal fidato collaboratore/regista Giulio Manfredonia) dagli studi televisivi di Mediaset al grande schermo nel “lontano” 2011. In una citazionista rappresentazione del lungo tempo trascorso, ritroviamo Cetto in stile Jack La Motta nell’ultima parte di Toro scatenato, ossia catturato a cantare sul palco del suo ristorante, intrattenendo divertito gli ospiti, dopo essersi mestamente lasciato alle spalle la sua carriera di politico (ma senza aver mai abbandonato l’illegalità, ovviamente). Ma Cetto non è il solo ad essere cambiato, come scoprirà una volta tornato in Italia dopo l’ennesimo periodo di latitanza. In quello che può considerarsi il vero fulcro della sceneggiatura firmata dallo stesso Albanese e Piero Guerrera, comincia da questo momento lo scontro tra le nuove abitudini della Marina “Nuova” guidata dal sindaco Melo La Qualunque, fatta di innovazioni moderne, tecnologiche e soprattutto “lecite”, e la resistenza di una generazione, quella della vecchia compagnia di Cetto e del sempre devoto Pino, che non si riconosce più in questa dimensione.
La spinta promossa da Cetto naturalmente non guarderà al futuro, ma trova la sua soluzione nel passato ancor più profondo. Una marcia indietro che, come racconta anche la storia attuale, troverà molto più consenso di quello che si crede, perché come l’evoluzione di Cetto è solo di facciata, così lo sono anche i vizi del popolo italiano, sempre duri a morire. La scena di apertura, d’altronde, è sempre la stessa: quel tavolo da gioco occupato dagli abili manovratori dei “poteri forti”, alla ricerca della solita pedina da muovere sulla scacchiera del mondo. Stavolta l’obiettivo prescelto è il ritorno alla monarchia, impersonata dal personaggio di Venanzio (Gianfelice Imparato), che funge da guida per il protagonista per l’introduzioni ad usi e costumi della casta nobiliare, ricordando così la “favola” alla Garry Marshall di Pretty Princess, ovviamente rivisitata per allinearsi ai modi ben più rozzi e irriverenti dell’ex-sindaco. Qui si gioca la comicità del film (con risultati altalenanti), in cui Albanese tiene banco sfoggiando i soliti tormentoni del personaggio, riproponendo quando può alcune delle idee dissacranti e memorabili del primo episodio (vedi il rapporto col figlio). Cetto non è cambiato affatto, si è semplicemente adattato all’ondata di populismo e sovranismo che imperversa per il globo, come testimoniato dalla sua veste simil-Trump con cui lo vediamo camminare per Marina, pronto a finire quello che aveva cominciato.
“Col tempo mi sono reso conto che con tutto quello che succede ultimamente nella politica italiana – racconta Albanese – Cetto rischiava di trasformarsi in un moderato e che forse doveva riapparire adeguandosi all’aria del tempo, facendosi ancora più trasgressivo e potente“. In questo terzo atto della sua trilogia, allora, il comico torna a concentrarsi sul solo Cetto (come in Qualunquemente) in una misura forse pure eccessiva, anche perché che la trama (pur essendo più lineare rispetto a Tutto tutto niente niente) non offre quei segni di audacia né di coralità che impreziosivano il primo episodio, probabilmente proprio per l’ambientazione slegata dalla realtà del cittadino medio. Mentre condivide con il secondo episodio l’idea di mostrare una deriva estrema della politica italiana. Almeno sulla carta, visto che stavolta la previsione non è più tanto surreale, ma sembra piuttosto assolutamente concreta (vedasi la trovata virale della piattaforma Pileau, contemporanea alla collaborazione Netflix/Emanuele Filiberto per sponsorizzare The Crown). Questo significa che da un lato è sempre presente lo sguardo attento dei due autori sulla situazione italiana; dall’altro, però, l’efficacia della loro messa in scena stavolta è considerevolmente più debole. Se infatti Qualunquemente aveva il pregio di svelare alla massa un modus operandi italico e ancora poco rappresentato, adesso gli atti vergognosi e la mentalità retrograda di Cetto è stata quasi sdoganata, arrivando addirittura ad essere superata di fatto dalla realtà.
L’impressione per gran parte della visione di Cetto c’è senzadubbiamente è quello di un La Qualunque di conseguenza svuotato, più blando, avvalorata dal suo comportamento nei confronti del mondo aristocratico a lui estraneo, in cui lo si vede ascoltare molto più diligentemente quello che gli viene consigliato di fare. Se infatti in Qualunquemente, e ancor di più in Tutto tutto niente niente, Cetto sfruttava le orchestrazioni dei “poteri forti” per il proprio tornaconto, addirittura sbeffeggiandoli il più delle volte, qui lo fa praticamente solo alla fine, mostrandosi per la maggior parte della pellicola decisamente più passivo. Eppure, da un altro punto di vista, specie nelle ribellioni di moglie (anzi, di entrambe le mogli) e figlio (anche se in questo caso dura molto poco), in questo rovesciamento del protagonista si può leggere non solo l’evoluzione dei tempi (appunto, nella crescita di una consapevolezza femminista, per esempio), ma soprattutto la speranza dei due autori verso quella parte della popolazione che simili azioni ancora non le vuole accettare. Allora sì che, in questo caso, le avventure di Cetto potrebbero forse considerarsi, ancora una volta, avveniristiche.
Regia: Giulio Manfredonia
Interpreti: Antonio Albanese, Nicola Rignanese, Caterina Shulha, Gianfelice Imparato, Davide Giordano, Lorenza Indovina
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 93′
Origine: Italia, 2019
La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
Il voto al film è a cura di Simone Emiliani