Double, di Valerio Valente

Un’opera prima che riflette in maniera interessante sul rapporto tra visibilità e non-visibilità nella nostra epoca. Dal 21° Glocal Film Festival di Torino

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Cosa faresti se avessi il dono dell’invisibilità? Come faresti convivere la tua doppia natura visibile e non visibile? Il film di Valerio Valente, proiettato in anteprima al San Francisco Independent Film Festival e pochi giorni fa al Glocal Film Festival di Torino, affronta la questione con un approccio molto diverso dal solito. Negli anni il “superpotere” dell’invisibilità è stato trattato in svariate forme e da diversi punti di vista, dagli uomini invisibili di James Whale e John Carpenter alla marveliana donna invisibile dei Fantastic 4, per arrivare al più recente e minaccioso L’uomo invisibile di Leigh Whannell. Valente problematizza la questione trasponendo il tema nella contemporaneità, un’epoca e una società in cui se non sei “visibile” e non costruisci un’immagine mediata di te stesso non esisti. L’invisibilità in Double non è quindi un superpotere, semmai un problema, una condanna. L’essere non-visibile non interessa al regista in quanto espediente narrativo, ma come veicolo metaforico di riflessione sul presente.

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Double (Daniele Daniele, nomen omen) fa il portiere di notte in un hotel e l’attore di teatro, non ha molti amici e la sua vita sociale si riduce alle prove teatrali con la compagnia di cui fa parte. Fin da quando è bambino, Double ha la capacità di rendersi invisibile agli occhi di chiunque. Grazie a questo “dono” trascorre la maggior parte del suo tempo libero a seguire amici e sconosciuti nel proprio privato, venendo a conoscenza dei lati più nascosti ed intimi di ognuno. Questa sua particolare abitudine diventa ben presto un’ossessione, una vorace e bulimica voglia di osservare e scoprire il più possibile. La posizione di osservatore invisibile e silenzioso assomiglia moltissimo a quella voyeuristica di noi spettatori, tant’è che spesso alcune delle inquadrature più “osservazionali” si rivelano essere proprio soggettive di Double. La natura scissa del nostro protagonista assume durante il film dei contorni sempre meno definiti e Double si troverà intrappolato nella sua stessa ossessione. Il ruolo dell’attore implica di per sé un’esposizione al pubblico, una visibilità totale nel momento stesso in cui sale sul palcoscenico. La contraddizione di Double è netta, da un lato quella artistica e teatrale, dall’altro quella di spettatore non visibile. Questo interessante cortocircuito è posto alla base del ragionamento di Valente sull’essere attore e sul valore funzionale della maschera sociale.

Double ha una messinscena molto asciutta, non sono presenti manipolazioni o artifici cinematografici e tutto risulta realistico e naturale. Il regista ha lavorato in solitaria sul set del film concentrandosi prevalentemente sull’operazione di svuotamento attoriale del protagonista, il quale lavora molto bene sulla sottrazione e inibizione emotiva ma convince meno quando si trova a rapportarsi con gli altri personaggi. La continua voce-pensiero che racconta l’universo interiore di Double è un facile espediente che risponde sia a logiche produttive che narrative, ma alla lunga grava sullo spettatore e dà l’impressione di un commento didascalico. Eppure, il principale pericolo dell’operazione era di cadere involontariamente nel film-saggio o “film a tesi”, una deliberata manipolazione del testo atta a dimostrare e supportare la propria argomentazione. Al contrario Double funziona e nonostante i suoi limiti fisiologici riesce in appena 60 minuti a coinvolgere lo spettatore. Per un’opera prima è più che incoraggiante.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
2.75 (4 voti)
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