DVD – Cofanetto "Stelle rosse – La fantascienza della Germania dell'est" di Kurt Maetzig, Herrmann Zschoche, Gottfried Kolditz

In un lussuoso cofanetto in uscita per No Shame vede la luce sul nostro mercato un'importante rassegna di fantascienza proveniente dall'ex Germania comunista. “Sojux 111-Terrore su Venere, “Eolomea – La sirena delle stelle” e “La polvere delle galassie”, tre saggi narrativi da non sottovalutare, e non solo per gli appassionati del genere

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Titolo originale: Der Schweigende Stern, Eolomea, Im Staub der Sterne

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Anno: 1960, 1972, 1976


Durata: 90', 79', 94'


Distribuzione: No Shame Films


Genere: Fantascienza


Cast: Cox Habbema, Ivan Andonov, Milan Beli, Violeta Andrei, Yoko Tani


Regia: Kurt Maetzig, Herrmann Zschoche, Gottfried Kolditz


Formato DVD/video: 2.40:1, 2.22:1, 1.78:1 – 16/9


Audio: Italiano Mono, Tedesco Mono


Sottotitoli: Italiano, Inglese


Extra: Booklet da collezione, Cinegiornali, Documentari, Gallerie fotografiche, Trailer originali, Finale alternativo italiano, Intervista a Luigi Cozzi curatore della riedizione italiana di Sojux 111

IL FILM


Il cofanetto «Stelle rosse» è un'operazione di riscoperta controcorrente il cui valore sia storico che culturale è innegabile. Scoperchiare una materia praticamente ignota, quale la fantascienza di uno dei paesi meno visibili del regime oltre la cortina di ferro, è un grande merito dei curatori dell'opera, tra cui figura Giona A. Nazzaro. Tre film compongono la retrospettiva, a testimoniare l'esistenza e la qualità di un movimento autocotono che, seppur non particolarmente prolifico – con soli sette film all'attivo in cinque lustri -, non va assolutamente sottovalutato. Dote del box è fornire, selezionando tre pellicole rappresentative, un'idea generale di come gli autori appartenenti alla DEFA (Deutsche Film-AG: Società del Cinema Tedesco) concepissero un genere che nell'immaginario comune, erroneamente se consideriamo l'importanza degli esponenti della letteratura sci-fi provenienti dall'Europa dell'Est, è soprattutto statunitense. Il fattore comune di tutte e tre le pellicole è l'incubo della catastrofe atomica, da cui consegue un discorso di fratellanza, che possa abbracciare tutti i popoli del mondo.


Sojux 111 – Terrore su Venere (1960, di Kurt Maetzig) è conosciuto anche come Il pianeta morto, dal titolo italiano del romanzo originale di Stanislav Lem da cui è tratto. Dei tre titoli presentati è il più importante, tenendo conto che è stato l'unico ad avere una (rocambolesca) distribuzione occidentale, prima in America quindi in Europa, Italia compresa, in una versione fortemente rimaneggiata. Il director's cut originale riporta al suo splendore una pellicola pacifista, dove gli alieni sono una minaccia invisibile e dove le idee sostituiscono il budget. Non che Sojux 111 sia opera povera, tutt'altro, con effetti speciali e ottici di tutto rispetto. Ma a dominare le inquadrature sono soprattutto le stupende scenografie di Alfred Hirschmeier, che pare quasi ispirarsi alle sculture di Gaudì e ai tratti architettonici del gotico nord-europeo: l'astronave del titolo sembra non a caso una cattedrale ridisegnata in chiave avveniristica. La regia, a partire dall'approccio classico alla messinscena, punta tutto sui dialoghi e sulla bravura di un cast multi-etnico, che sorprende per compattezza. Qualche lungaggine del trattamento, buonista e conciliatorio, non manca: soprattutto nelle dissertazioni scientifiche troppo pignole. Il che non impedisce al ritmo di tenere fino all'epilogo agrodolce, a metà tra happy end e consapevolezza dei limiti dell'uomo nei confronti dell'universo ancora tutto da scoprire. Curioso il finale pessimista approntato, con voce over, per l'edizione nostrana, che tradisce lo spirito dell'opera e non ne avvalora completamente la tesi originale, quasi ambientalista, in cui i protagonisti si fanno portatori di un messaggio di distensione nei confronti dell'intero popolo terrestre, da considerarsi come un unicum da valorizzare senza distinzioni.

In Eolomea – La sirena delle stelle (1972, di Herrmann Zschoche) l'approccio alla materia è meno convenzionale, come dimostrano i titoli di testa pop e il coinvolgente progressive etereo di sottofondo. Film cerebrale, a tratti pedante, dall'approccio filosofico, da nouvelle vague improvvisata. L'uomo, che ragiona, pensa e vive, è al centro dell'universo, sia che si trovi con i piedi per terra sia che navighi con la testa nello spazio infinito che lo sovrasta, aspirado a chimere improbabili quale una stella dai sapori mitologici o un amore impossibile. Il piano parallelo tra realtà e fantascienza è dettato dai ritmi del (melo)dramma di stampo teatrale, dall'incedere rallentato e volutamente monocorde dei dialoghi, reali protagonisti dell'opera. Le scenografie rozze e una certa naiveté nella rappresentazione del lato tecnologico – un robot visibilmente giocattoloso; effetti che imitano 2001 – Odissea nello spazio con il rigore dell'arte povera; al contrario dei costumi e delle location rigorosamente legati ai gusti degli anni '70 – fanno di Eolomea un curioso ibrido tra ambizioni sostanziali e una messinscena disciplinata, spartana, quasi proletaria. A tratti affascinante, anche per la regia libera da schemi e preconcetti che si prende i suoi spazi per sbizzarrirsi con salti temporali, fotostop e vezzi estetizzanti, per di più galvanizzata da un montaggio fuori sincrono molto moderno, la pellicola non è al tempo stesso immune da alcune clamorose cadute di tono e di armonia, con delle stecche che avviliscono nella noia e nella prolissità una trama di per sé stimolante.


Chiude il trittico La polvere delle galassie (1976, di Gottfried Kolditz), il più sperimentale e libero dei film proposti. Space opera in tono minore, quasi confidenziale, la pellicola esplora controcorrente le potenzialità esistenzialiste del genere. Non senza ambizioni, prima di tutte la volontà di coniugare, elevandoli culturalmente, ciarpame kitsch e glamour psichedelico. Luci stroboscopiche, balletti improvvisati e trucchi circensi rendono godibile un labirinto di specchi altrimenti indigeribile. Non sono infatti i dialoghi ridotti all'osso e gli attori troppo caricati e poco incisivi – il cast internazionale è in gran parte imposto dai co-produttori rumeni -, né le sceneografie e gli effetti di cartapesta, degni di un episodio della prima serie di Star Trek, a lasciare il segno. Regna piuttosto sovrano lo spleen malinconico, culminante in una chiusa molto cupa, che si configura strada facendo, con un'ambasciata pacifista dove la testa conta più delle armi e dove la ribellione, stavolta veramente popolare, nasce dalle miniere. La metafora è sì grossolana, eppure funzionale ad un esempio ante-litteram di exploitation d'autore. Resistere ai primi tediosi minuti, nei quali con scarso senso del ritmo si impostano le premesse dell'azione a seguire, è alla fine dei conti un onere che ripaga le attese e a lungo termine soddisfa.

IL DVD


Suddiviso in tre dischi e con un libretto a corredo altrettanto interessante rispetto ai film, il dvd boxset immesso sul mercato dalla benemerita No Shame è curatissimo in ogni suo dettaglio, a partire dall'aspetto grafico dalla personalità ben definita. Gli intenti dei curatori di rispolverare un pezzo di storia del cinema poco nota e dimenticata sono palesati da un'edizione di altissimo livello. La qualità delle trasposizioni, con le pellicole presentate nei formati originali (strabiliante il 2.40:1 nitidissimo di Sojux 111), in anamorfico, è notevole, merito di ottimi master e di un minuzioso lavoro di codifica in digitale, che non rivela mai falle di alcun tipo, anche nelle scene più impegnative. La lucentezza dei colori, sempre brillanti, ringiovanisce le opere presentate e ne glorifica le ambizioni: tanto che sembra di assistere a film di pochi anni orsono, non a titoli di decine e decine di anni fa.


Sojux 111, unico lungometraggio dei tre ad avere anche l'audio in italiano, è a dispetto dell'anzianità, la pellicola che meglio si presenta ai posteri: comparto extra notevole e doppia traccia audio, italiano e tedesco monofonico, riversate con cura. Per fortuna la versione è quella uscita nei cinema tedeschi e non quella accorciata dai produttori occidentali (presente a conferma anche il brutto finale approntato dai nostri distributori): le non poche scene tagliate, non ridoppiate, sono sottitolate con cura. Luigi Cozzi, che ha portato il film in Italia per primo in tempi non sospetti, ne spiega in un'esauriente intervista la travagliata genesi. La compresenza dei titoli di testa alternativi italiani, doppi per entrambe le versioni uscite al cinema – la prima appunto come Sojux 111, l'altra sotto la nuova denominazione Il pianeta morto -, di una ricca galleria fotografica e di due trailer, quello originale e quello americano, sono un ricco approfondimento documentaristico, al pari dei brevi speciali tratti dai cinegiornali del periodo, intitolati «Sul set di Sojux 111 – Terrore da Venere» e «Cineasti inglesi visitano la DEFA (1959)».


Due soli gli extra nel dvd dedicato ad Eolomea – La sirena delle stelle, ma entrambi si fanno guardare con piacere. In primis il trailer originale, di seguito un gustoso documentario, «Sogni da cosmonauti», molto ben realizzato, che comprende interviste agli artefici (spicca per lucidità la costumista Barbara Müller-Braumann), i quali ricordano con nostalgia un mondo che, a ben vedere, oggi si è estinto e che, come la fantascienza di cui si fa tramite, non esiste più se non in un immaginario passato di moda. Presentato in tedesco con sottotitoli in italiano, molto ben tradotti e semplici da seguire, il film è un piacere per gli occhi, cromaticamente scintillante, con solo qualche spuntinatura che compare qua e là: a oltre 30 anni dalla sua uscita cinematografica sembra ancora un ragazzino. Idem per il terzo disco, di Im Staub der Sterne, dove, a corredo di una pellicola splendidamente presentata, con colori di impressionante brillantezza, fanno capolino il provino dell'epoca e uno speciale che a trent'anni esatti di distanza ricorda, in venti gradevoli minuti, le peripezie sul set narrate dal cameraman Peter Süring.


Per la qualità e la quantità di materiale proposto «Stelle Rosse» è un cofanetto assolutamente consigliato.

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