Estranei, il romanzo sospeso di Taichi Yamada

Il romanzo Estranei di Taichi Yamada, da cui è tratto l’omonimo film ora nelle sale, conferma che una tendenza cinematografica sta arrivando dal continente asiatico

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Proprio in questi giorni al cinema è possibile vedere Estranei di Andrew Haigh, un altro esempio perfetto della “placida” tendenza in cui sembra essersi posato lo storytelling contemporaneo al cinema e non solo.
Racconti intimi, che elevano la quotidianità e la routine e che, pur inserendo nelle maglie della narrazione elementi a volte thriller o horror, mantengono uno stile rilassato inducendo lo spettatore a uno stato quasi di ipnosi cerebrale ed emotiva.

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Non è difficile notare che questa attitudine provenga per lo più dal continente asiatico (Perfect Days, Past Lives) e proprio Estranei ce lo conferma, perché nonostante la produzione americana e il regista inglese, il film è l’adattamento dell’omonimo romanzo di Taichi Yamada, scrittore giapponese.
Tralasciando le sensibili differenze tra romanzo e film, nel racconto di Taichi Yamada trova spazio una forte riflessione sulla memoria e sulla difficoltà d’instaurare legami profondi. Tematiche perfettamente tradotte nella versione cinematografica di Andrew Haigh e che in qualche modo vengono elevate dalla capacità di inserire il racconto in un contenitore statico. Ma è una staticità illusoria, in cui la storia comunque prosegue senza che sia direttamente svelata la sua dinamicità ma quasi per sottrazione, riducendo la portata dei cambiamenti anziché esagerandola, coinvolgendo lo spettatore nelle vite dei personaggi con gentilezza inattesa.
Il romanzo di Taichi Yamada non punta all’aggressione dei sensi o a fornire stimoli energici, ma tratta il materiale narrativo dilatandolo e nascondendo i punti salienti sotto mentite spoglie di nostalgia. Il risultato è che, alla fine, viene fuori tantissimo non detto e ci sembra di aver letto o visto qualcosa che non viene direttamente dichiarato ma colpisce comunque la sensibilità. È uno stile perfettamente adeguato alla natura del racconto di Estranei che, essendo anche una ghost story, affida una grande parte della vicenda a momenti evidentemente irreali, in bilico tra realtà e sogno. Ed è questo stato di abbassamento di coscienza tipico della fase del sonno quello a cui vuole portarci Estranei, sia nella sua versione scritta che in quella cinematografica.
È interessante che nel 1988, invece, il regista giapponese Nobuhiko Obayashi diresse un primo adattamento del romanzo facendone un film horror dal titolo The Discarnates. Questa prima versione si concentra sulla componente gotica e horror del racconto, e si inserisce perfettamente in una tradizione ampissima di horror giapponesi Kaidan (ossia storie di fantasmi) dalle caratteristiche iconiche.

È forse la reazione a un tumulto che coinvolge l’Asia come area geopolitica potenzialmente più in crescita e destinata perciò a immergersi sempre di più in rapidi cambiamenti. In questo senso l’arte cinematografica si propone come momento di riflessione che tende alle sensazioni opposte di “inazione”, come la chiama il filosofo Byung-Chul Han nel suo ultimo saggio, e come possibilità per approfondire l’umano. Superando i confini asiatici, in un momento così confuso della storia in cui a tutti i livelli, e in ogni parte del mondo, crollano gli equilibri fondanti delle nostre società, il cinema forse sta scegliendo di mostrarci un’altra dimensione.

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