FESTIVAL – DA SODOMA A HOLLYWOOD 20 – L'(est)etica della differenza

Il Turin Gay and Lesbian Film Festival celebra la ventesima edizione continuando a proporre un ricco panorama di opere internazionali, non strettamente legate all'omosessualità ma aperte al tema mai del tutto esaurito della differenziazione morale ed estetica.

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Esistono coincidenze che sfuggono a questa definizione e inducono a credere che ogni cosa sia invece inscritta nel perfetto ordine delle causalità; così, mentre in Spagna le agenzie battevano la notizia che il governo Zapatero aveva varato una legge che permette i matrimoni tra persone dello stesso sesso, a Torino apriva il Gay and Lesbian Film Festival, inaugurando la prima giornata proprio con due film incentrati sui matrimoni omosessuali, One Wedding and a Revolution di Debra Chasnoff e Maris à tout pris di Jean-Michel Vennemani e Yves Jeuland. E se si pensa alle dure posizioni espresse dalla Chiesa cattolica (e dal nuovo Papa Benedetto XVI) su queste questioni, non è difficile rendersi conto che il festival torinese arriva in un momento decisivo, inserendosi a pieno titolo nel dibattito sulla definitiva integrazione dei gay nella società attuale. Festival che, peraltro, pur restando molto vicino al "Gay Pride" (la cui prossima manifestazione dovrebbe svolgersi proprio a Torino) e presentandosi come ovvio portabandiera di questo movimento, non trascura per questo l'aspetto prettamente cinematografico della sua offerta. Il programma, infatti, è come negli anni passati ricco di film di valore, soprattutto nella sezione a concorso, che porta a Torino opere già apparse in altri festival internazionali come Cannes e Locarno. Esemplare appare, per esempio, la scelta di dedicare una sezione del festival alla figura di Pier Paolo Pasolini (di cui quest'anno, il 2 novembre, ricorre il trentennale della morte), straordinaria figura di intellettuale, precursore della "controcultura", che seppe nella sua vita incarnare un radicalismo estremo e insofferente alle regole sia nell'arte sia nella morale sessuale. Significativo soprattutto il documentario Pier Paolo Pasolini e la ragione di un sogno, realizzato nel 2001 da Laura Betti, musa del regista-poeta, e da Paolo Costella, che ripercorre alcune delle tappe più emblematiche della vita e dell'opera di Pasolini.

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Ma il festival si distingue anche per la scelta non scontata di omaggiare la Lucky Red, la casa di produzione di Andrea Occhipinti che fin dalla metà degli anni Novanta ha prodotto alcuni film controversi e folgoranti che hanno lasciato il segno nell'immaginario collettivo, tra i quali Priscilla – La regina del deserto di Stephan Elliot, Happy Togheter di Wong-Kar-Wai, The Doom Generation di Gregg Araki, Velvet Goldmine di Todd Haynes. L'omaggio alla Lucky Red permette di riscoprire film poco conosciuti, come il pregevole Female Perversions (1996) di Susan Streitfeld, storia del complesso rapporto di due sorelle dai torbidi risvolti psicologici, girata con uno stile rigoroso e con Tilda Swinton perfetta nel ruolo di una donna in carriera fredda e algida, ma incline a mostrare attenzioni verso il proprio sesso. Tra i film in concorso, spicca Poster Boy (2004), opera prima dello statunitense Zak Tucker già presentata a Locarno. Il film, che mescola omosessualità e politica, è certamente uno dei migliori visti a Torino; Tucker affronta con determinazione l'aspetto famigliare sotteso a una campagna elettorale, nella quale un senatore repubblicano, per ottenere un nuovo mandato, non esita a sfruttare l'immagine del figlio Henry, senza tenere in considerazione i suoi valori. Ma Henry rifiuta la strumentalizzazione e prende coscienza di sé grazie a un amico che milita in un gruppo contrario alla rielezione del padre. Poster Boy, girato con uno stile nervoso, fortemente ellittico, con la cinepresa spesso vicina ai personaggi per scandagliarne la tormentata psicologia, dà prova di un talento versatile e in grado di cogliere minuziosamente i rivolgimenti della società attuale. Di tutt'altro tono, ma non meno interessante, la pungente commedia "degli equivoci" Eros thérapie (2004) di Danièle Dubroux. La regista francese costruisce un complicato intreccio di personaggi, i cui rapporti tormentati sfociano spesso in situazioni al limite della parodia. Siamo evidentemente dalle parti della migliore commedia francese, ciarliera e ricca di spunti comici, con un umorismo di fondo che stempera i toni apparentemente più tragici e dipinge il ritratto di una borghesia disinvolta e confusa, in balia delle proprie incontenibili pulsioni rimosse.

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