Fingernails, di Christos Nikou
Usa la distopia per ammonire sui pericoli a cui va incontro una società che invade la sfera personale del cittadino. Il problema è che non sviluppa mai in profondità i suoi temi. Grand Public
Dal dolore passa la comprensione dell’amore. Questo assunto, almeno nelle maglie sociali della realtà retro-futuristica raccontata da Nikou, sembra governare la concezione che le coppie (sposate, fidanzate o ai primi passi) hanno del sentimento che le lega, e che dovrebbe – almeno in teoria – tenerle unite per l’eternità. Perché in Fingernails le relazioni sentimentali non sono solamente “controllate” dai conformismi della comunità in cui si formano, ma addirittura normativizzate, come se gli esseri umani avessero improvvisamente perduto la facoltà di giudicare l’integrità dei loro rapporti di coppia. Ad un punto tale da perdere sicurezza sia nel sentimento su cui si fondano le relazioni d’amore, sia nella loro stessa capacità di sentirsi parte di un nucleo; vissuto ormai come un sistema estraniante – e quindi estraneo per chi ne testimonia le crisi dall’interno.
Le regole del mondo in cui vive Anna (Jessie Buckley) sono talmente monopolizzanti nel loro radicamento quotidiano da funzionare come ingranaggi di una distopia. La protagonista di Fingernails, alla pari dell’eroe/vittima delle narrazioni bradburyane o orwelliane, si trova ad operare in una realtà cinicamente (dis)umana, dove il giudizio sulla natura sentimentale del cittadino non è più di competenza dell’individuo, ma delle istituzioni private. Da cinque anni ormai un’azienda high-tech, nota come Love Institute, certifica se due persone siano tra loro compatibili attraverso un sistema tanto diabolico quanto (apparentemente) infallibile: al soggetto che si sottopone a questo test viene infatti strappata un’unghia del dito e inserita, insieme a quella del partner, in un particolare dispositivo che calcolerà con accuratezza la percentuale di compatibilità della coppia. A chi ottiene il 100% viene rilasciato un “certificato d’amore” che prova, agli occhi della società, l’indissolubilità del sentimento che lega i due innamorati. Ma Anna, sempre più attratta dal collega Amir (Riz Ahmed) nonostante sia risultata positiva al test con il fidanzato Ryan (Jeremy Allen White) inizia prima a mettere in questione il sistema. Poi la sua stessa capacità di entrare in contatto con la propria sfera dei sentimenti.
All’interno di un mondo dove le relazioni appaiono autentiche solo se socialmente accettate come tali, Nikou intreccia azioni e commenti critici sullo sfondo di un’analisi satirica. È nelle pieghe di questo cinismo caustico, mutuato con tutta probabilità dai registri sferzanti di The Lobster, che Fingernails trova la chiave per attaccare i conformismi e i dettami (etero)normativi di cui sono oggetto le coppie in una realtà solo apparentemente opposta alla nostra, proprio perché “parallela”. Il peccato capitale del film, semmai, è da ritrovare nella reticenza con cui sviluppa i suoi temi, che porta il racconto a delineare linee di pensiero limitate, incapaci così di ramificarsi oltre la mera superficie. Ecco allora che la narrazione viene privata di quella rabbia esplosiva di cui ogni ritratto distopico ha bisogno per poter disegnare un mondo davvero arido di umanismo. Che rimane incontrovertibilmente placido, implacabile e freddo. Anche in faccia alle inquietudini di chi ne resta schiacciato.