Frente a Guernica (Director’s Cut), di Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi

La versione definitiva di un progetto iniziato nel 2014, sulla guerra civile spagnola. Altro tassello dell’incessante ricerca dei due cineasti sulle immagini e sulla storia. VENEZIA80. Fuori Concorso.

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È dal 2014 che Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi coltivano il progetto di un film sulla guerra civile spagnola. Dai tempi di una visita al museo Reina Sofía di Madrid, in occasione di una proiezione di Pays Barbare, straordinario film sul colonialismo e la sciagurata guerra di Etiopia. Il Guernica di Picasso è una suggestione visiva ed emotiva troppo potente, per non indurre i due cineasti (o artisti?) ad affrontare un’altra delle vicende nodali del Novecento, aggiungendo un ulteriore tassello alla loro incessante ricerca sulle immagini e sulla storia. Dopo quasi dieci anni, anche grazie al contributo del Reina Sofía, Gianikian porta a compimento il director’s cut del film. Onorando ancora una volta la “promessa” fatta ad Angela, la compagna di una vita scomparsa nel 2018, di continuare il loro lavoro “politico, storico, artistico”. Che come al solito è un affare di ricerca, documentazione e raccolta, di paziente composizione e stratificazione del catalogo, di decrittazione dei suoi misteri e labirinti. I materiali, come al solito, sono i più disparati: immagini di propaganda o di informazione, frammenti di film, come il Guernica di Robert Flaherty, un filmino amatoriale di vacanze all’esposizione di Parigi del 1937 (in pellicola Agfa a colori, tiene a sottolineare Gianikian, che non trattiene mai la sua passione assoluta per la materialità del supporto). L’approccio all’archivio, filmato con la camera analitica, ha la meticolosità di sempre. È quasi pignolo, nella sua utopia di completezza e nel suo desiderio di profondità. Ma è, al tempo stesso, superbamente magico, capace di risvegliare i dettagli rivelatori nell’apparente indifferenza dei fotogrammi accumulati in gran moltitudine, nell’opacità dei graffi, delle lacerazioni, dell’emulsioni rovinate. Come l’ingrandimento sul pugno alzato di un bambino in una ripresa per le strade di Madrid, che resiste all’assedio dei nazionalisti. Cinema della resurrezione…

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Ciò che colpisce, però, è anche l’andamento della voce narrante di Yervant Gianikian (e quindi delle immagini di riferimento), sempre più aneddotico e frammentario. È molto probabile che il contributo di Angela Ricci Lucchi contribuisse a mantenere un piano di insieme più saldo. Qui, invece, Gianikian, con il suo tono pacato e fermo, procede per piccoli episodi, anche secondari, brevi e fulminee notazioni che si muovono liberamente nel tempo, lungo il periodo prescelto, tra fatti, idee, personaggi. Un movimento rapsodico che si lascia andare a continue digressioni, che delineano con rapidi tratti il quadro di un’epoca, ma che, allo stesso tempo, aprono mille altre piste. Come l’impegno di Aristide Briand per la causa della pace e lo sviluppo della Società delle Nazioni. Oppure le vicende di Osip Mandel’stâm e della sua fine per mano della repressione sovietica, ricostruite a partire dalla corrispondenza con la moglie Nadezda, letta da Lucrezia Lerro. O, ancora, le immagini di una parata del sovrano del Marocco (lì dove prende le mosse il colpo di stato dei nazionalisti spagnoli), che diviene immediatamente l’occasione per un altro ragionamento sul colonialismo, sulla traccia di Pays barbare.

Ma alla fine tutto si riconnette, in un modo o nell’altro, al tema generale della guerra civile spagnola. Del resto, si può provare a leggere un grande evento storico solo assecondando una molteplicità di angolazioni, addentrandosi nella trama intricata delle premesse e delle conseguenze. Al di là dei punti che rimarranno oscuri. La frammentarietà di Frente a Guernica sembra allora strutturarsi come un caleidoscopio, che muta le forme a seconda del movimento delle lenti. O un complesso cristallo a più facce, che scompone e ricompone le prospettive, che trattiene e disperde le scie di luce. Un modo di procedere che potrebbe essere anche una perfetta metafora del lavoro sulle immagini di archivio, sulla paziente ricomposizione di un senso a partire dalle singole inquadrature, dei frammenti di scena, dei resti e delle macerie. E che quindi deve tener conto anche delle mancanze, delle immagini non ancora girate, scoperte, inventariate. A testimoniare, in fondo, l’impossibilità di una versione integrale. Una scelta di complessità. Che sia questa la vera essenza dell’antifascismo radicale, resistente, di Yervant Gianikian e di Angela Ricci Lucchi? Il rifiuto della dittatura di un’immagine imposta, di una interpretazione univoca.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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