From the End of the World, di Kazuaki Kiriya

Al Trieste Science+Fiction Festival, un’odissea attraverso il tempo, in un film ambizioso e sbalorditivo dal regista di Kyashan, Out of competition

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E se tutto fosse deciso e vivessimo la vita come previsto? È questo l’interrogativo che si pone lo spettatore durante l’anteprima italiana di From the End of the World al Trieste Science+Fiction Festival.

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Hana non sa davvero cosa vuole fare della sua vita… È una ragazzina come tante altre ed è all’ultimo anno di liceo. Poco dopo aver perso la nonna, che l’aveva allevata dopo che i suoi genitori erano rimasti uccisi in un incidente d’auto, inizia a fare strani sogni in cui viene rimandata in quello che sembra essere l’antica era Sengoku del Giappone feudale, dove incontra una giovane ragazza indigena la cui famiglia è stata barbaramente uccisa dai samurai predoni.

Quando si sveglia, Hana viene portata via da un’organizzazione governativa segreta. Le dicono che il mondo finirà in due settimane: lei è l’unica che può impedirlo e salvare l’umanità. Mentre ha inizio la corsa verso la distruzione apocalittica, Hana perde la convinzione che il mondo meriti veramente di essere salvato. Non lo fa deliberatamente, ma reagisce istintivamente agli eventi che incontra e che l’anziana sostiene esistano nel “Mare dei sentimenti”, una grande confluenza del pensiero umano su cui è costruito il mondo. “Capire le cose è sopravvalutato. Tutto è un’illusione. L’importante sono i tuoi sentimenti”, le dice un’altra presenza misteriosa.

Da Kaz I Kiriya, il regista di Kyashan – La rinascita, un’entusiasmante odissea attraverso il tempo, in un film di fantascienza ambizioso e sbalorditivo. Egli comprime all’interno della protagonista la stanchezza del mondo e la pressione che molti giovani avvertono oggi e Aoi Ito lo interpreta in modo forte; si può letteralmente sentire il peso che la giovane donna porta sulle spalle attraverso lo schermo. Con la sua atmosfera oscura e il messaggio solenne, From the End of the World ricorda Melancholia di Lars von Trier: la fine del mondo utilizzata come allegoria dello stato emotivo di un personaggio.

Kiriya gira la maggior parte dell’azione facendo uso frequente di una camera portatile e grandangolare che ricorda Sam Raimi. Il cast (che comprende anche un ironico cameo del regista Shunji Iwai) è sorprendente: dona voce ad un puzzle non certo semplice, che fa chiedere allo spettatore: “Dove finiscono i sogni di Hana?”. Questo caos però non stanca e si adatta alla fantasia di un’adolescente che vede il suo mondo sgretolarsi.

Ma la ricerca che Hana intende compiere risiede nel profondo del suo cuore, ferito da un paio di traumi infantili sepolti dietro una porta che non voleva aprire. Il vero messaggio che dovrebbe trasmettere ha un suo paradossale senso di intensità, “dalla fine del mondo a te nel futuro” – e che ricorda il “A te, tra 2000 anni” del manga e anime Attack on Titan. In ciò si intravede sia disperazione ma anche il desiderio di una sorta di continuazione o rinascita in un mondo migliore, più gentile e meno segnato dalla sofferenza o dall’egoismo. Il modo per raggiungere quel mondo è ancora radicato nella violenza ma Hana deve salvare “sé stessa” in tutte le sue incarnazioni.

Caratterizzato da una produzione di prim’ordine e da alcune scenografie sorprendenti, il dramma d’azione fantascientifico è silenziosamente toccante: nonostante tutto, Hana vuole ancora amare il mondo. Un racconto che cerca di studiare i rapporti umani e il loro valore, un spiraglio di speranza. Kiriya ci consegna con From the End of the World il suo probabile testamento cinematografico.

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