Ghostbusters. Minaccia glaciale, di Gil Kenan
Mai come stavolta il franchise mostra di essere alle corde nel film forse più vicino all’originale ma che potrebbe segnare la parola ‘fine’ sui Ghostbusters.
Ci ha esaltato nel 1984 e comunque conquistato nel 1989. Non aveva invece convinto per niente la versione al femminile del 2016 diretta da Paul Feig prima dell’unico ritorno nostalgico possibile col bellissimo Ghostbusters: Legacy del 2021 diretto da Jason Reitman nel puro spirito del padre. In Ghostbusters. Minaccia glaciale di Ivan Reitman resta soltanto la dedica finale ed è a prima volta che questo franchise mostra di essere davvero alle corde. Stavolta manca la sorpresa dell’apparizione, il gioco continuo tra i fantasmi e i personaggi che ormai è solo stanco riciclaggio, con la famiglia Sprengler che dall’Oklahoma torna nella famosa caserma dei pompieri di New York. Qui i vecchi e i nuovi ‘acchiappafantasmi’ devono unire le forze per fronteggiare una nuova era glaciale scatenata da una forza malvagia che ha avuto origine da un antico manufatto.
L’effetto della glaciazione nella New York del 1904 sembra uscire da un disaster-movie. Ed è forse l’aspetto più interessante di un film che cerca di provare a prendere una strada nuova ma alla fine non ne è mai convinto fino in fondo. Jason Reitman perde le poche tracce dell’eredità paterna nella sceneggiatura scritta con il regista Gil Kenan (avevano già collaborato nel film precedente) che della saga mantiene solo i residui fantasy/horror che arrivano da suoi film precedenti, tra Ember. Il mistero della città di luce e Poltergeist. Ma stavolta quello che manca davvero, rispetto a Ghostbusters: Legacy, è l’empatia tra la vecchia e la nuova generazione di ‘acchiappafantasmi. McKenna Grace e Finn Wolfhard da degni affascinanti eredi diventano qui spenti, anonimi, privati di quella follia degna di un’altra fantastica sfida con cui però ormai c’è poco dialogo con il cinema degli Eighties. A farne le spese sono soprattutto i ruoli interpretati da Paul Rudd e Kumail Nanjiani (gran comico ma qui fuori sincrono), spogliati del loro potenziale comico e diventati solo corpi narrativi di un film fin troppo intasato di personaggi. Lo stesso vale per Bill Murray, Dan Aykroyd e William Atherton, fantasmi sempre più lontani che attraversano il film (soprattutto Murray) svogliatamente. Ed è proprio per questo che da qui viene voglia di ricominciare proprio dal 1984. Perché questo Ghostbusters sembra addirittura più vecchio, con derive stonate alla Emmerich di L’alba del giorno dopo (la minaccia sulla spiaggia di Coney Island) e che non porta fino in fondo l’unica bella intuizione, il rapporto tra Phoebe e Melody, l’adolescente-fantasma, la scissione tra il corpo e lo spirito, con possibili echi da Casper e tracce di un'(im)possibile storia d’amore. È l’unica possibile fiaba tra ghiaccio e fuoco, tra la vita e l’aldilà che raggiunge però troppo presto temperature nella media. Così la persistente mediocrità contamina proprio il film che è più vicino all’originale ma che ne smarrisce lo spirito e potrebbe segnarne la parola ‘fine’. Se non ci saranno improvvisi colpi di scena, i futuri ipotetici sequel saranno probabilmente già un’altra cosa.
Titolo originale: Ghostbusters: Frozen Empire
Regia: Gil Kenan
Interpreti: Mckenna Grace, Finn Wolfhard, Carrie Coon, Paul Rudd, Emily Alyn Lind, Patton Oswalt, Kumail Nanjiani, Celeste O’Connor, Bill Murray, Ernie Hudson, Dan Aykroyd, William Atherton, Logan Kim, James Acaster, Annie Potts, Shelley Williams
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 115′
Origine: USA, Canada, UK 2024
Se “l’unica bella intuizione” è la potenziale storia d’amore tra due lesbiche quindicenni stiamo messi proprio male. E non parlo del film, che in effetti è al massimo appena decente, mi riferisco proprio alla recensione. Non-se-ne-può-più.
“Mostrate alla troia preistorica come si lavora all’assessorato”, Ghostbusters, 1984. Commedia per tutti, neanche troppo scorretta. Torniamo a quei tempi lì, per favore. O pure prima. Lo chiedo per l’umanità intera.