Green Border, di Agnieszka Holland

Spaventosamente doloroso, è un dramma esistenziale a tratti toccante e un forte atto d’accusa nei confronti dell’inerte Europa. Potentissimo. Premio speciale della Giuria all’80° Mostra di Venezia.

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Esistono in Europa strisce di terre desolate, veri sacrari moderni alimentati da un imperfetto se non inaccettabile modo di intendere la difesa dei diritti. Agnieszka Holland con il suo Green Border ci accompagna in una di queste strisce, in quell’inferno che è esistito e che esiste sul confine tra Polonia e Bielorussia quando, all’inizio della guerra in Ucraina, vennero accolti i profughi provenienti da quelle zone di guerra e respinti malamente gli altri che da altre guerre provenivano e da altri lutti e altre fami. Green Border è un film spaventosamente doloroso che racconta in successivi capitoli l’esodo di una famiglia proveniente dalla Siria e di altri profughi che viaggiano con loro. Racconta della brutalità della Polizia di frontiera e dell’esercito, racconta di morte e di freddo, ma il suo racconto necessario si rivolge anche verso chi solidarizza con i profughi, attraverso quella rete sotterranea e carbonara che salva vite a rischio della propria.
In un bianco e nero che trasmette il freddo dei luoghi e il sapore acido delle paludi nelle quali si muore annegati, Agnieszka Holland compone un dramma esistenziale a tratti toccante che scopre i nervi scoperti di responsabilità che sono politiche, ma che non casualmente nascono. Un film che sa diventare forte atto d’accusa nei confronti dell’inerte Europa politica e soprattutto nei confronti del proprio stesso Paese che alimenta i respingimenti e i maltrattamenti. Lungi dall’essere un pamphlet arrabbiato, Green Border che sicuramente verrà accusato di facile didascalismo o semplicismo narrativo, è piuttosto una cronaca, un diario di incessante fatica, di inesausto desiderio di raccontare la propria versione dei fatti.

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Molto si potrebbe riflettere su un film del genere che arriva, in questi anni così duri e difficili, dove forse neppure il reportage può arrivare, in quella fusione tra fiction e realtà che trova alloggio proprio in quelle immagini del freddo bianco e nero, a mostrare il dolore che si forma in quel luogo preciso dove annega ogni speranza di sopravvivenza. È qui che ci si può domandare se l’arte o il cinema debbano occuparsi di questi temi entrando nell’agone di una visione politica. La regista polacca è cosciente di questa sua decisione e ne esplicita le ragioni: “Non ha alcun senso impegnarsi nell’arte se non si lotta per quelle voci, se non si lotta per porre domande su questioni importanti, dolorose, a volte irrisolvibili, che ci mettono di fronte a scelte drammatiche. Questa è esattamente la situazione in atto al confine tra Polonia e Bielorussia

Green Border obbliga per questi motivi alla riflessione dopo quel bagno di realtà nel quale ci immerge lavorando con pazienza sui corpi dei suoi rifugiati segnati come da stimmate di redenzione. Cinema di impegno umanitario che scopre ciò che forse sappiamo, ma non sappiamo vedere o conoscere restando invisibili quelle strisce di terre o di mare ai temi dominanti della comunicazione ufficiale. La regista polacca con una attenzione al tema, ma anche alla macchina del cinema che sa dominare con perizia, sembra spingere il suo sguardo dentro le vite dei profughi e al pari dentro quella di un Paese, la Polonia, che pare abbia smarrito ogni sentimento solidale così fortemente manifestato, tanto da diventare bandiera e parola d’ordine della rivolta quando fu il primo Paese a ribellarsi alla dittatura. In quel “vaffanculo” dei giovani in automobile rivolto a ciò che resta della famiglia siriana seduta sull’orlo del marciapiede, il fallimento di ogni principio umano, di ogni comunanza che ci faccia riconoscere a prescindere dai confini, come appartenenti alla stessa specie.
Agnieszka Holland rifuggendo con equilibrio ogni semplicismo e ogni induzione alla facile emozione, ci ha dimostrato, ancora una volta, il potere enorme delle immagini, anche di quelle inventate, ma così somiglianti e sovrapponibili al reale. Ed è proprio di reale che si parla, così materializzato in quella fotografia gelida e pastosa che ci offre il film nella sua esplicita radicalità che diventa terreno scivoloso, facilmente attaccabile per la insita drammaticità degli eventi in quel facile gioco che esclude di per sé ogni ulteriore drammatizzazione. Ma Green Border trasforma in materia vivente le immagini, le storie, le vite e affonda le sue radici in quelle terre desolate, in quei sacrari non ufficiali dove si consumano tragedie invisibili, volano via vite umane che non hanno goduto di alcun rispetto. Un racconto tragico che vive su questo confine che non è verde, ma grigio e gelido pieno di grida soffocate e di immagini che non sappiamo vedere.

 

Premio speciale della Giuria all’80° Mostra di Venezia

 

Titolo originale: Zielona Granica
Regia: Agnieszka Holland
Interpreti: Behi Djanati Atai, Agata Kulesza, Maja Ostaszewska, Tomasz Wlosok, Piotr Stramowski, Jasmina Polak, Magdalena Poplawska, Maciej Stuhr, Marta Stalmierska, Jalal Altawil, Dalia Naous, Monika Frajczyk, Jamina Polak, Michal Zielinski, Aboubakr Bensaihi, Malwina Buss
Distribuzione: Movies Inspired
Durata: 147′
Origine: Polonia, Francia, Repubblica Ceca, USA, Belgio, Germania, Turchia 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4.3
Sending
Il voto dei lettori
4.2 (15 voti)
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    Un commento

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