Il giardino delle parole, di Makoto Shinkai

Torna in sala uno dei film più fortunati dell’animatore giapponese, tra realismo e poesia, per raccontare ancora vite complesse, nel segno dell’amore per gli opposti

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Ai tempi della sua prima uscita italiana fu il titolo che svelò il nome di Makoto Shinkai come un autore in grado di reggere bene la distribuzione in sala dopo le prime, quasi carbonare, edizioni home video: ipotesi confermata poi dal grande successo di Your Name, e dall’arrivo dei successivi Weathering With You e Suzume, oltre ai recuperi su grande schermo di Oltre le nuvole e 5 cm al secondo. Accostarsi con una più acquisita consapevolezza, non fa comunque venir meno lo stupore con cui Il giardino delle parole si offre al pubblico in questa nuova uscita evento in lingua originale (in tandem con il già citato Your Name). La storia dell’incontro tra lo studente Takao e Yukino, di 12 anni più grande, nel parco dove il ragazzo si reca per disegnare modelli di scarpe in previsione di una futura attività da calzolaio, resta infatti la più concreta e lineare dell’autore, distante tanto dai viaggi fantascientifici degli esordi, quanto dalle avventure “temporali” più recenti.

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Se, infatti, il ritmo più contemplativo sembra quasi guardare a certe atmosfere del cinema dal vero (e ciascuno scelga pure i riferimenti che vuole, da Ozu a Kore-eda), lo stile fa comunque la differenza e conferisce vitalità a immagini di grande bellezza poetica. Sfruttando abilmente fonti di luce che tagliano l’inquadratura trasversalmente e conferiscono una qualità soffusa alle immagini, Shinkai rende infatti quasi trasparenti le sue figure, in modo da conferire una maggiore forza espressiva ai fondali naturalistici, esaltati da colori particolarmente vivi: il disegno molto pulito offre una qualità quasi documentaristica nel ritratto di animali e piante del parco, e si accompagna alla caratterizzazione più sfumata delle figure umane, che tendono naturalmente a confondersi con il paesaggio, come a voler rimarcare tanto il loro esserci in quel contesto, quanto la tendenza a astrarsi dalla realtà cittadina.

Il film, pur nella sua breve durata, risulta infatti tanto delicato e impalpabile quanto tumultuoso nei sentimenti che mette in scena, tipici dei due personaggi: un certo sentire condiviso della vita, la tendenza a stare fuori dai giri per isolarsi nei propri pensieri, un vuoto esistenziale che, nel caso di Takao, sembra legato a un rapporto difficile con la madre, sempre assente da casa, mentre per Yukino è sintomo di un male di vivere i cui motivi vengono rivelati nella seconda parte della storia. Appare quindi evidente la cifra più “problematica” insita in questa nuova storia d’amore che mette in scena un rapporto fra due anime molto vicine, sebbene appartenenti a due modelli sociali così diversi: un adulta e un’adolescente, ma anche un’insegnante e uno studente. Shinkai non nasconde i sottotesti più difficili, ma li usa in senso non moralistico, come base per una nuova ricognizione malinconica sulla comunicazione fra due universi costretti, malgrado la reciproca affinità, a dover mantenere la loro distanza.

In mezzo, come a far da tramite con la cifra “elementale” delle opere a noi più vicine, l’acqua (la storia si ambienta nella stagione delle piogge): sempre presente, dapprima in modo più discreto e poi via via sempre più forte, l’elemento liquido modula la trasparenza dei personaggi, permettendo il passaggio dal tono più fiabesco della prima parte a quello più impetuoso della seconda, mantenendo sempre il senso di malinconia e di felicità impossibile cari all’autore.

Titolo originale: Kotonoha no niwa
Regia: Makoto Shinkai
Distribuzione: Dynit e Nexo Digital
Durata: 46′
Origine: Giappone, 2013

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
Sending
Il voto dei lettori
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