La duplice natura del Cinema e Ambiente Avezzano

Siamo stati alla sesta edizione del festival Cinema e Ambiente Avezzano, una preziosa occasione di riflessione sul tema ambientale, nel solco di un’arte cinematografica sempre più sostenibile

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La sesta edizione del festival Cinema e Ambiente Avezzano volge al termine con rinnovata consapevolezza dei propri mezzi e delle proprie potenzialità. Rispetto alla scorsa edizione, molto partecipata ma evidentemente limitata causa Covid-19, quest’anno il festival ha ampliato fortemente il numero di opere in concorso, tra lungometraggi, cortometraggi e formati di ogni tipo. Ma la vera ricchezza dell’edizione 2022 risiede nei numerosi incontri organizzati dal festival, tra talk con professionisti del settore, artisti e attivisti internazionali, ognuno con un prezioso punto di vista personale sul tema ambientale. Ciò che emerge chiaramente è la grande voglia di allargare gli orizzonti del pubblico abruzzese, con la speranza di stimolare una rinnovata coscienza civile ed ecologica, atta a preservare e tutelare quella che è la vera ricchezza del territorio marsicano. La duplice anima del Cinema e Ambiente Avezzano è racchiusa proprio nel suo nome, un festival che vuole fare della sostenibilità la propria bandiera elevando artisticamente la propria terra. La parola chiave di quest’anno è Antropocene, un termine inflazionato di questi tempi che racchiude in sé le colpe del genere umano e le conseguenze delle nostre azioni. Come ha spiegato il direttore artistico Paolo Santamaria, la scelta non è stata quella di demonizzare l’azione umana, bensì quella di interrogare noi stessi riconoscendo l’impatto che abbiamo avuto e abbiamo tuttora sul nostro pianeta. Proprio per questo motivo la conferenza stampa di presentazione non poteva che avere luogo a fianco di una discarica abusiva presente nel territorio da diversi anni, simbolo della noncuranza e della scarsa coscienza ecologica dell’amministrazione comunale.

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Un festival tematico come il Cinema e Ambiente Avezzano possiede il limite più grande proprio nell’argomento che lo caratterizza e in qualche modo lo racchiude. Ma se invece di farsi ingabbiare dal tema si riesce a sperimentare partendo proprio dallo stesso, il limite diventa punto di forza e fulcro di un confronto vitale. Non esiste distinzione tra cortometraggio, lungometraggio, documentario o finzione, non c’è un formato specifico o una destinazione unica per le opere selezionate dal festival. Da un lato si possono incontrare documentari di stampo classico a scopo divulgativo e informativo, ma dall’altro ci si può imbattere in miniserie o video sperimentali con attori non professionisti. L’unico vero punto di incontro è lo sguardo proiettato costantemente verso il futuro, sempre con speranza e mai con scoramento.

Il lungometraggio che ha aperto l’edizione di quest’anno è un documentario in anteprima internazionale dal titolo Return Sasyk to the Sea, diretto dalla regista di origine ucraina Andrea Odezynska. Il film racconta le tragiche conseguenze ambientali di un assurdo esperimento sovietico vicino ad Odessa, nell’Ucraina del Sud. L’intera operazione appare come un monito per ognuno di noi ma soprattutto per le varie amministrazioni del territorio; ogni scelta ha delle conseguenze e ogni scelta sbagliata può portare a effetti disastrosi. One Earth – Tutto è connesso di Francesco De Augustinis risale l’intera filiera di produzione agroalimentare internazionale mettendo in luce le numerose problematiche che ne fanno parte. Si passa dagli allevamenti intensivi di suini in Cina alla drammatica situazione degli indigeni amazzonici in Brasile, costretti a lottare quotidianamente contro il fuoco appiccato da fazendeiros al soldo delle multinazionali. Il documentario di De Augustinis mostra con grande chiarezza come tutto sia irrimediabilmente connesso, dalla crisi climatica a quella alimentare per arrivare alle pandemie dovute a zoonosi. Il film non impone una dottrina specifica, quello che chiede è una riflessione sincera e una presa di coscienza. Tra le visioni più originali del festival rientra senza alcun dubbio PrimAscesa – La Montagna Creata dall’Uomo di Leonardo Panizza, il racconto della scalata di una delle ultime cime inviolate rimaste al mondo: la montagna di rifiuti in una discarica del Trentino. La storia è così assurda da risultare geniale, tant’è che nessuno tra regista e attori si occupa di cinema, bensì di psicologia, alpinismo e attivismo. La forma del film è sporca come la montagna che i protagonisti si trovano a scalare, ma certe immagini e emozioni sono pure come le loro intenzioni.

 

Tra un incontro con il Presidente di Giuria Nicola Nocella e un giro tra le creazioni “biomeccaniche” artigianali di Davide Ranni, ci si può imbattere nelle meravigliose immagini di Soon It Will Be Dark di Isabell Heimerdinger. Il corto è un viaggio silenzioso e meditativo in un’isola a sud del Camerun, con approccio osservazionale ma non voyeuristico postcoloniale. Dall’Africa si torna poi in Italia con le immagini delle inondazioni del 2019 a Venezia. La città delle sirene di Giovanni Pellegrino documenta la situazione drammatica vissuta dai veneziani in quei giorni di solo pochi anni fa. Da qui ne scaturisce un’amara riflessione sulla pericolosità del cambiamento climatico e sull’ambivalenza dell’acqua, vita e ricchezza della città ma in quelle ore assoluta minaccia. Un pericolo quello del cambiamento climatico che insieme ad altri fattori può aver dato origine alla distopia nel quale si trova immerso il protagonista di Post Scriptum – Uno sguardo ottimista dalla fine del mondo, la miniserie docu-fiction creata dal duo torinese Elena Beatrice e Daniele Lince. Siamo nel 2057, Alex è l’ultimo uomo sulla terra e trascorre le giornate rovistando tra le macerie della nostra civiltà alla ricerca di frammenti e testimonianze del passato. La sua unica “compagna” è Lexie, una fedele intelligenza artificiale del quale percepiamo solo la voce, simile al sistema operativo Samantha di Her di Spike Jonze. La linea narrativa di Alex rappresenta il filo rosso che lega quattro storie documentarie ambientate nel 2020 durante la pandemia di Covid-19, ognuna delle quali tocca diverse tematiche raccontate da altrettante associazioni attive durante quel periodo drammatico. Anche in questo caso lo sguardo è proiettato con speranza verso il futuro, tirando le fila di quello che in passato ci ha segnato e in qualche modo arricchito. La serie riesce nel difficile compito di unire materiale documentario con quello di finzione, servendosi di trovate narrative e visuali molto ingegnose rendendo fluido il montaggio senza disturbare lo spettatore.

L’obiettivo del direttore artistico e degli organizzatori resta quello di creare una rete artistica nel territorio marsicano, una sorta di fucina produttiva e laboratoriale per destare gli abitanti dal torpore culturale nel quale sono indotti da anni. Attività come la residenza cinematografica di CinemAbruzzo o il limitrofo Garofano Rosso Film Festival hanno proprio lo scopo di creare possibili alternative per chi solitamente è costretto a partire. Questa edizione del festival Cinema e Ambiente Avezzano non può che infondere coraggio agli organizzatori e responsabilizzare ulteriormente gli amministratori del territorio, tenuti a valorizzare un evento internazionale di questa portata culturale.

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