La programmazione di Fuori Orario dal 10 al 16 marzo

Visconti e Pietrangeli per il ciclo sul cinema italiano degli anni ’50, focus su Alessandro Comodin e Daria Deflorian-Antonio Tagliarini. Da stanotte

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CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

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Domenica 10 marzo dalle 2.05 alle 6.00

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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Fuori Orario cose (mai) viste

di Ghezzi Baglivi Di Pace Esposito Fina Francia Luciani Turigliatto

presenta

A CAVALLO DEI ’50 – nel boom dipinto di boom (5)

a cura di Paolo Luciani

Per alcune notti di Fuori Orario presentiamo coppie di film che siano in grado di documentare i cambiamenti in atto nella società italiana tra il 1948 (anno della sconfitta elettorale delle sinistre) e tutti gli anni ’50, caratterizzati dal centrismo democristiano, ma, anche e soprattutto, da una ricostruzione post-bellica accelerata che conduce al boom economico ed al suo rapido sfiorirsi.

Sono gli anni in cui si stratifica la realtà italiana, quella di “un paese mancato”; non basteranno le lotte sindacali e sociali del decennio successivo, insieme al raggiungimento di poche, ma importanti riforme sui diritti di tutti, ad allineare il paese su standard di modernità, ancora oggi irraggiungibili.

Cinematograficamente siamo tra la crisi del neorealismo e l’esordio di grandi personalità (Antonioni, Fellini) insieme al persistere e al mischiarsi di nuove figure professionali (attori, registi, sceneggiatori, quadri tecnici) con quelle ancora provenienti dalle esperienze del cinema del ventennio. Di fatto, dal dopoguerra alla metà dei ’50, prende forma “il pubblico cinematografico italiano”, costruito sul consumo di una produzione nazionale ancora molto diversificata. Resistono tutti i filoni ed i generi: il neorealismo popolare come quello rosa, il film d’avventura e il film opera, il cinema comico attoriale come quello d’autore. Ma abbiamo anche la nascita della commedia all’italiana e l’inizio del peplum, la presenza hollywoodiana a Cinecittà e quello che sarà il cinema dei grandi produttori italiani degli anni ’60, insieme a realtà come “il cinema napoletano”. Su tutto, poi, si stende una cappa censoria che non risparmia nulla. Le produzioni devono combattere contro l’invasione del prodotto hollywoodiano, facendo ancora ricorso a un mercato di esercizio che vede durare anni lo sfruttamento di un film, con stadi diversi di programmazione, in grado di raggiungere gli strati più profondi del paese: quello che farà la televisione, da lì a pochi anni.  Insieme al cinema e alla radio si affermano nuovi media, non solo la TV, ma la pubblicità, la stampa di partito, il fotoromanzo, le riviste di costume illustrate. Dopo il voto alle donne abbiamo una scolarizzazione finalmente di massa. Quella che viene chiamata una mutazione antropologica del paese si manifesta anche con i bisogni che moltiplicano le occasioni del nuovo consumismo, come di una normale, anche se caotica, evoluzione dei costumi. L’auto per tutti, le vacanze di massa, la moda e il nuovo divismo femminile, i concorsi e le manifestazioni, siano esse canore, di bellezza, letterarie, d’arte. Nella consapevolezza comune emergono e si differenziano economicamente e culturalmente composizioni diverse della società, con nuove problematiche anche esistenziali. Ed il nostro cinema è presente e dà conto di questi mutamenti, con alcune costanti che si possono far risalire alle radici profonde della nostra storia: amor di patria -spesso vissuto come a fare ammenda di non encomiabili responsabilità storiche più o meno recenti- una tendenza costante al tragico e al comico, dove far annacquare tendenze inespresse alla rivolta e alla consapevolezza di sé. Ma, soprattutto, la costante narrativa con cui il nostro cinema sembra fare i conti, è condizione familiare, meglio quella della donna, costretta e raccontata in un’emancipazione troppo lenta, sia essa madre, lavoratrice o “donna libera”.

LE NOTTI BIANCHE

(Italia, 1957, b/n, dur., 97’)

Regia: Luchino Visconti

Con:  Marcello Mastroianni, Maria Shell, Jean Marais, Corrado Pani, Marcella Rovena, Renato Terra, Clara Calamai

Leone d’argento al Festival di Venezia 1957; Nastro d’argento 1958 miglior attore protagonista, migliore scenografia, migliore colonna sonora

Mario, modesto impiegato dalla vita monotona e senza scosse, cerca di evadere a questa sua condizione fantasticando di notte quando vaga senza sosta nelle vie del quartiere Venezia di Livorno Una notte incontra una misteriosa ragazza, che le racconta del suo dolore per la scomparsa dell’uomo amato, scomparso si, ma comunque ancora legato a lei da un giuramento che la porta, notte dopo notte, a vegliare in attesa  nei pressi di un ponte….Mario, prima solo incuriosito, ne è via via ammaliato..

“LE NOTTI BIANCHE fu realizzato in condizioni di relativa economia e con rapidità quasi da record. Il film era un nuovo invito a “non mollare”, rivolto innanzi tutto agli uomini di cinema; se i tempi non consentono un discorso diretto, un’aggressione immediata della realtà, ebbene ricorriamo alla metafora; e se non quelle offerte dalla storia, almeno quelle suggerite dalla fantasia. Modificando profondamente il senso del racconto dostoevskiano da cui il soggetto è tratto… LE NOTTI BIANCHE è un inno alla purezza vigorosa dei sentimenti, alla fedeltà verso se stessi e i propri ideali, infine al sogno alla favola al mito come irriducibili motivi e sostanze di vita. Il vero destinatario dell’apologo di Mario, Natalia e l’Inquilino è l’intellettualità democratica italiana, che il X Congresso del PCUS e i fatti d’Ungheria avevano pervasa di profondi motivi d’inquietudine e smarrimento…. d’altra parte, l’incomprensione della critica fu pressoché totale: capovolgendone il senso, il film venne inteso come un ritorno alle forme estenuate di un languido romanticismo elegiaco. La convinzione del regista di avere aperto una strada nuova alla nostra cinematografia fu accolta con scetticismo generale”. (Vittorio Spinazzola, CINEMA E PUBBLICO 1945/1965)

NATA DI MARZO

(Italia, 1957, b/n, dur., 105’)

Regia: Antonio Pietrangeli

Con: Jacqueline Sassard, Gabriele Ferzetti, Mario Valdemarin, Tina De Mola, Ester Carloni, Gina Rovere, Franco Rossellini, Franca Mazzoni, Eraldo Da Roma

Francesca, giovanissima, bella, viziata, ma on un carattere anche volitivo, vivace, “moderno”, sposa un omo molto più grande di lei, architetto affermato. Le differenze di età, di interessi, di carattere, che prima erano stati stimoli alla loro conoscenza e innamoramento, ben presto si riveleranno degli ostacoli alla loro convivenza tra ripicche e ricatti, una passeggiata notturna risulterà decisiva.

“… Comencini, Risi, Pietrangeli strapparono al neorealismo popolare alla Matarazzo il principale oggetto del discorso… la condizione della donna in Italia, dal punto di vista del rapporto tra i sessi e dell’etica familiare. Nei film comico – sentimentali il vero protagonista è sempre il sesso femminile; la donna, lungi dal costituire una sorta di motore immobile dell’azione, conduce il gioco attivamente, in prima persona. I registi non intendono più rappresentare una situazione stagnante, gravata da pregiudizi, miti e tabù cupamente irremovibili, nella quale la femminilità era destinata a figurare come un parafulmine di tutte le possibili sciagure, sia che accettasse passivamente la sua condizione subalterna sia che tentasse di evaderne, per vie sempre maldestre e sbagliate. Le donne del neorealismo rosa posseggono un’autocoscienza, una baldanzosa ma solida capacità di decidere del proprio destino….” (Vittorio Spinazzola, CINEMA E PUBBLICO 1945/1965)

 

Venerdì 15 marzo dalle 1.40 alle 6.00

Fuori Orario cose (mai) viste                                                     

F FOR FEMMINE 3 – LIB(E)RARSI

a cura di Fulvio Baglivi

SIAMO QUI PER PROVARE                                           PRIMAVISIONETV

(Italia, 2022, col., 88’)

Di: Greta De Lazzaris e Jacopo Quadri

Con: Daria Deflorian e Antonio Tagliarini

Daria Deflorian e Antonio Tagliarini iniziano a lavorare a un nuovo progetto che parte da Ginger e Fred di Federico Fellini (e diventerà Avremo ancora l’occasione di ballare insieme). Daria e Antonio formano da anni un sodalizio artistico molto forte, abitano nella stessa palazzina ma ora lei sta cambiando casa perché si sposa e lui sarà testimone.

Greta De Lazzaris e Jacopo Quadri seguono questo periodo pieno di mutazioni, in cui la realtà e la finzione, cinema, teatro, vita si mescolano e confondono giorno dopo giorno. Il film diventa così un “gioco di coppie” che si intreccia davanti e dietro la telecamera, le mutazioni in corso, esistenziali come quelle dei tempi e degli spazi, sono i fantasmi che spostano lo sguardo e l’ascolto e portano il film ad essere costantemente sospeso tra “qui e altrove”, tra passato e presente che immaginano, tra paura e desideri, un futuro. 

AVREMO ANCORA L’OCCASIONE DI BALLARE INSIEME

(Italia, 2021, col., dur., 90’)

Un progetto di Daria Deflorian e Antonio Tagliarini liberamente ispirato a Ginger e Fred di F. Fellini

Interpretazione e co-creazione: Francesco Alberici, Martina Badilucci, Daria Deflorian, Monica Demuru, Antonio Tagliarini, Emanuele Valenti

Aiuto regia e collaborazione alla drammaturgia: Francesca Cuttica, Daria Deflorian, Monica Piseddu, Benno Steinegger, Antonio Tagliarini

Collaborazione artistica: Attilio Scarpellini

Liberamente ispirato a Ginger e Fred di Federico Fellini, così come Sovrimpressioni che precede di poco Avremo ancora l’occasione di ballare insieme è l’ultimo spettacolo di Deflorian/Tagliarini che si confrontano con l’anziana coppia di ballerini interpretati nel film da Giulietta Masina e Marcello Mastroianni.

“Il titolo viene dal ribaltamento di una frase che Amelia dice alla fine del film a Pippo: “Non credo che avremo ancora l’occasione di ballare insieme”. L’anno di preparazione di questo lavoro è stato il secondo in cui, per via della pandemia, il mondo della cultura dal vivo non ha potuto di fatto svolgere il suo ruolo. Quando abbiamo riascoltato questo saluto malinconico che la Masina (già ammalata allora di quel male che se la portò via qualche anno dopo) fa allo sbandato Mastroianni non abbiamo potuto evitare di pensare anche a tutti noi. E a rilanciare un’occasione di incontro. La nostra è infatti prima di tutto una ballata dedicata agli artisti, al loro desiderio di essere un altro, alla loro determinazione a giocare per tutta la vita, a cadere ad ogni ciak, a mettere nei dettagli insensati la loro biografia più segreta, al loro smascherarsi “intenzionalmente senza intenzione” come ha detto Fellini parlando del lavoro dell’attore. È quindi è un progetto su Marcello Mastroianni. Su Giulietta Masina. È’ un progetto su Fred Astaire e Ginger Rogers. È’ un progetto su di noi. Un lavoro sulla coppia e un lavoro sul dialogo. Il dialogo come possibilità di procedere insieme, di generare azioni, anche immaginarie”. [Deflorian/Tagliarini]

CATTIVITÀ

(Italia, 2019-2021, col. 69′)

Di: Bruno Oliviero

Il regista di La variabile umana e Nato a Casal di Principe segue, nella sezione di massima sicurezza nel carcere di Vigevano, il laboratorio “Educarsi alla libertà” del drammaturgo e regista teatrale Mimmo Sorrentino. Protagoniste sono le donne condannate per reati legati alla criminalità organizzata, il lavoro drammatico di Sorrentino parte dai loro ricordi personali, punto d’inizio di un percorso di riflessione, bilancio e rilancio delle loro vite.

 

Sabato 16 marzo dalle 1.15 alle 7.00

LA LUCE E LE OMBRE. IL CINEMA INCANTATO DI ALESSANDRO COMODIN (seconda parte)

a cura di Simona Fina e Roberto Turigliatto

GIGI LA LEGGE                     PRIMA VISIONE TV

(Italia, Francia, Belgio, 2022, col., 98′)

Regia: Alessandro Comodin

Con: Pierluigi Mecchia, Ester Vergolini, Annalisa Ferrari, Tomaso Cecotto, Massimo Piazza

Alessandro Comodin, nel suo terzo lungometraggio, premio speciale della Giuria al Festival di Locarno, torna a San Giorgio al Tagliamento, in Friuli, dove ha vissuto la sua infanzia e aveva già girato, nel 2011, la sua opera prima,  L’estate di Giacomo. Grazie alla collaborazione di Okta film e del produttore Paolo Benzi presentiamo entrambi i film in una notte interamente dedicata a uno dei giovani cineasti oggi più liberi e sorprendenti, che molto apprezziamo e che seguiamo fin dall’inizio.

“Nel film Gigi fa il vigile in un paese di campagna dove non sembra succedere mai niente. Ma qualcosa di strano sembra adombrarsi sotto la luce dell’estate. Un giorno una ragazza si suicida, gettandosi sotto un treno. Lì comincia un’indagine su una misteriosa serie di suicidi che si consuma in uno strano mondo di provincia in bilico tra realtà e fantasia, dove un giardino può anche essere una giungla e un poliziotto eccentrico e solitario avere un cuore sempre pronto a innamorarsi, a sorridere e a giocare  malgrado i lati oscuri del passato.

«Per questo film sono tornato nel giardino della mia infanzia, quel luogo magico che è per me l’inizio di tutte le storie. Da quando ero bambino son passati trent’anni e nel frattempo gli alberi, come me, sono cresciuti, gli oggetti di ferro, come i miei capelli, arrugginiti, ma nulla è cambiato veramente perché il custode e guardiano di questo paradiso non è una persona qualsiasi, è Gigi. Gigi è mio zio. Lui ed io abbiamo in comune la sensazione per cui il mondo intero è un giardino, pieno di alberi, densissimo, a volte sconfinato, a volte pieno di reticolati e frontiere, sempre buono ma anche luogo dove le angosce e i desideri prendono vita come in un sogno ad occhi aperti …) Questo film è prima di tutto il ritratto di Gigi, ed essendo Gigi, che si voglia o no, un vero poliziotto, il film non poteva che prendere la forma di un “poliziesco”. Un poliziesco a misura del suo personaggio principale, sovversivo e originale, sincero e disarmante, simpatico e provocatore. Gigi si interroga e, a modo suo, indaga, si lascia sommergere dalle sue passioni e curiosità contraddittorie e inesplicabili. È così allora che diventa il nostro traghettatore in uniforme, che si lascia guardare sinceramente e senza paura. (…) Gigi la legge è un pezzo di vita di confine, fatto di alberi che non smettono di crescere, treni che non si fermano, inseguimenti campagnoli, conversazioni divertenti, una storia d’amore sognata e un incubo che non ci lascia dormire. In fin dei conti, però, come il tempo, tutto passa, e piano piano anche gli incubi più brutti poi finiscono per svanire, basta un sorriso o una vecchia canzone » (Alessandro Comodin)

“NEL CINEMA CERCO DI TOGLIERE IL REALISMO”: CONVERSAZIONE CON ALESSANDRO COMODIN

(Italia, 2023, col., dur., 46′)

Conversazione tra Alessandro Comodin e Roberto Turigliatto, realizzata da Fuori Orario a Roma il 9 febbraio 2023 in occasione dell’uscita italiana di Gigi la legge. Il regista riflette sul lavoro di sottrazione del suo modo di fare cinema, il rapporto tra il campo e il fuori campo, la temporalità indefinita, il gioco con il personaggio di Gigi.  E infine il ritorno nel paese dell’infanzia alla ricerca dello sguardo del bambino e della meraviglia per il bosco immaginario.

L’ESTATE DI GIACOMO 

(Italia, Francia, Belgio, 2011, col., 78’)

Regia: Alessandro Comodin

Con: Giacomo Zulian, Stefania Comodin, Barbara Colombo

Siamo nella campagna del nordest d’Italia. È estate. Giacomo, diciannove anni, rimasto sordo da piccolo, e Stefania, sua amica d’infanzia, sedici anni, vanno al fiume per un picnic. Come in una fiaba incantata, si smarriscono nel bosco per ritrovarsi in un posto paradisiaco, soli e liberi, durante un pomeriggio che sembra durare il tempo di un’estate. Un apprendistato dei sensi: non ci si tocca, eppure si è tutti pelle, respiro e soffio. La sensualità accompagna i giochi da bambini, finché Stefania e Giacomo non sentono che l’avventura, che hanno appena vissuto, non è altro che un ricordo dolceamaro di un tempo perduto. Una storia d‘amore e d’iniziazione alla vita adulta, dove il presente si mescola al ricordo e il passato risorge con la chiarezza e lo stupore della prima volta.

«L’estate di Giacomo è forse il primo “film” a cui ho pensato in assoluto. All’epoca non era un film di cinema, era una storia, probabilmente un’allucinazione. Sulle rive del fiume Tagliamento ho trascorso la mia infanzia e la mia adolescenza: ne conosco ogni più piccola sensazione, suono e odore. Fanno parte di me quel senso di noia e abbandono, e allo stesso tempo di avventura possibile, quasi da favola, che contraddistinguono quel paesaggio naturale. Ho conosciuto Giacomo quando era un bambino, era il fratellino del mio migliore amico. Giacomo era sordo. Dieci anni dopo Giacomo aveva la stessa età di quando io scelsi di partire dall’Italia e stava per compiere un passo molto importante: voleva operarsi per sentire per la prima volta in vita sua. Nella sua decisione c’era qualcosa di fantastico. La sua storia mi è apparsa come una fiaba moderna in cui il protagonista diventa quell’eroe che, attraverso un’operazione chirurgica, si trasforma in ciò che aveva sempre sognato di essere.  (…) Sono arrivato a L’estate di Giacomo per attesa e decantazione. Le immagini mostravano da sole la loro ragione d’essere e raccontavano la misteriosa sensazione che mi aveva rimandato indietro nel tempo. Il miracolo che Giacomo aspettava per sé e quello che io con lui speravo per il film si è rivelato, ma non come ce l’aspettavamo. La metamorfosi di Giacomo, questa storia straordinaria, si è manifestata, semplicemente, nelle piccole cose, nei piccoli gesti, le piccole conquiste che si fanno a quell’età, le sensazioni che ci fanno diventare grandi e che ci spingono verso l’altro. Ecco qui il vero miracolo. Non so ancora quanto di me avevo sentito in Giacomo per decidere di farne un film, né quanto Giacomo mi abbia fatto rivivere delle sensazioni che credevo di aver scordato per sempre. So di sicuro però, di aver condiviso assieme a lui ricordo e presente, allucinazioni e realtà, finzione e documentario, in un’esperienza comune, fugace quanto l’estate, intensa quanto una timida carezza» (Alessandro Comodin)

“IL MIO GIARDINO PRIMORDIALE”: CONVERSAZIONE CON ALESSANDRO COMODIN

Una produzione di Fuori Orario realizzata da Simona Fina e Roberto Turigliatto, 2017, col., dur., 102’43”

Il regista Alessandro Comodin racconta per Fuori Orario  la genesi dei suoi primi due film, L’estate di Giacomo e I tempi felici verranno presto  e riflette sulla propria concezione del cinema: il bisogno  di fuga e di movimento, l’adolescenza dei corpi in movimento e  la percezione del tempo che passa, l’importanza dei luoghi e  l’immersione nella natura, la pratica di operatore durante le riprese, l’approccio al mezzo cinematografico come possibilità di vedere meglio e di stabilire un rapporto di captazione sensoriale della realtà, il rapporto con gli attori. Con rimandi ai suoi cineasti preferiti, da Bresson e Monteiro a Wang Bing, e alle figure ricorrenti dei suoi film: il buco e il labirinto, la circolarità del tempo e gli epiloghi,  la fiaba e la metamorfosi.

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