La regola del gioco, di Jean Renoir

Grande insuccesso all’epoca della sua uscita, si è trasformato nel tempo in uno dei film del regista più amati ed analizzati dopo la sua morte. Capolavoro modernissimo e complesso. Su Chili

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Uno dei grandi insuccessi di Renoir all’epoca della sua uscita (il regista tentò invano, intervenendo più volte al montaggio, di salvare il film) si è trasformato nel tempo, nel film-cifra dello sguardo renoiriano, uno dei film di Renoir più amati ed analizzati dopo la morte del suo autore. La regola del gioco nasce proprio dalla necessità, dopo L’angelo del male, di lavorare da un’altra angolazione su ciò che più appartiene allo sguardo del regista, la volontà di gettare uno sguardo su una realtà terribile ed inquietante che sta lentamente affacciandosi sulla scena europea: lo spettro di una guerra annunciata, il frantumarsi di un progetto collettivo e capace di scongiurare il riemergere del conflitto, sono alcune delle motivazioni che spingono Renoir a lavorare sviluppando fino alle estreme conseguenze quell’estetica del décalage di cui parlava Bazin.
Classicità e poesia: l’intenzione di Renoir è quella di utilizzare le forme della tradizione letteraria, pittorica e teatrale francese come serbatoi per la ricerca di nuove forme filmiche. Autori come Marivaux e Musset sono qui evocati, non per dedicare loro citazioni, né per prendere a prestito dialoghi o situazioni, ma per costruire uno stile filmico. Nel mondo chiuso ma tutt’altro che armonico de La regola del gioco, il rumore dei cannoni e degli spari costituisce una sorta di flusso quasi continuo, un Grund sonoro, l’immagine fuori campo di un evento in fieri (la guerra), non immediatamente visibile, ma che costituisce il terreno di gioco, per così dire, della messa in scena filmica di Renoir.
Affinché ci sia uno scarto, uno spostamento, una differenziazione continua dei valori interni agli elementi del film, occorre che ci sia una struttura, una rete di funzioni mobili che mettano in movimento il film secondo le sue regole specifiche. In poche parole, occorre una geometria dei corpi, delle pulsioni e delle passioni. In questo senso, La regola del gioco è un film straordinariamente geometrico, vale a dire assolutamente non statico. Geometrico, appunto nel senso spinoziano, come rete dinamica di forze mobili, ars combinatoria che crea continuamente unioni e legami destinati a distruggersi e a trasformarsi.
Siamo nella Francia del 1939, in un ambiente che è quello dell’aristocrazia e dell’alta borghesia, all’interno del quale tutte le passioni amorose, i desideri, sognati o realizzati, i flirt e i tradimenti sono condotti secondo un insieme di regole non scritte ma ben presenti a tutti (o quasi) i partecipanti al gioco. Si tratta di regole che hanno come comune denominatore la dissimulazione, la messa in scena del gesto e della parola come atti sociali, regole che servono a nascondere più che a mostrare i propri sentimenti, i propri desideri, la propria volontà. Ma non si tratta di un movimento così semplice come può sembrare. I personaggi de La regola del gioco non contrappongono semplicemente verità e menzogna, non nascondono i loro veri desideri di fronte al gioco sociale delle parti, ma costruiscono una struttura geometrica fatta di relazioni al tempo stesso vere e false, contemporaneamente stabili e fragilissime. Una struttura che Renoir rende visibile cinematograficamente attraverso il ricorso ad una costruzione dell’immagine straordinaria e complessa. I luoghi del film – gli appartamenti del Marchese de la Chesnaye, di Geneviève, la tenuta del marchese dove si svolge tutta la seconda parte del film – hanno una struttura architettonica complessa, in cui scale, finestre, corridoi, anfratti, tende e finestre contribuiscono a moltiplicare gli spazi possibili, a mettere in mostra la geometria di relazioni che lega tra loro i partecipanti al gioco. La macchina da presa di Renoir si muove all’interno di questi spazi complessi, privilegiando inquadrature ampie e di lunga durata, complessi carrelli, panoramiche e movimenti circolari, capaci di tenere insieme – attraverso un ricorso costante alla profondità di campo – i molteplici movimenti dei personaggi nello spazio.

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Lo sguardo di Renoir è, in La regola del gioco, immerso nel mondo dei suoi personaggi (egli stesso, nel film, interpreta la parte di Octave, figura apparentemente lontana dal gioco, ma in realtà parte integrante del processo di mascheramento delle passioni e delle pulsioni che anima tutti i personaggi del film); solo così può descriverne l’essenza più intima, la dimensione più propria. Il mondo che ne fuoriesce è un mondo separato, un microcosmo sociale in cui gli abitanti si dedicano alle proprie occupazioni, ai propri desideri (la caccia, la conquista amorosa, il tradimento, la festa). Il film è quindi un susseguirsi di non-eventi (inseguimenti, sospetti, spiegazioni, bugie, tradimenti effettuati o solo pensati), all’interno di uno spazio che non fa altro che moltiplicare i movimenti facendo esplodere l’apparenza della commedia umana che vi si recita: “Corneille, Corneille, fate cessare questa commedia”, grida ad un certo punto il marchese; “Quale delle tante?” è l’illuminate risposta.  La commedia, è solo la forma che la dissimulazione dell’aristocrazia e della grande borghesia francese assume di fronte ad una realtà sempre più inquietante; sotto questa apparenza si svela il profondo sostrato tragico di un mondo che è completamente separato, che non si costituisce in comunità se non sotto la forma parodica del mascheramento, della pulsione dissimulata.
È la tragedia allora a dominare in questo film modernissimo, accentuata dai mille dettagli, dalle innumerevoli forme che lo attraversano. Nella sequenza della festa al castello, la macchina da presa inquadra un pianoforte che suona da solo, per poi scoprire i volti degli invitati che si disseminano lungo lo spazio delle stanze e dei corridoi. Il meccanismo è allora qui svelato come meccanismo automatico. Esso procede al di là di tutto e di tutti, trascinando con sé i vari personaggi, automi semoventi simili in questo ai burattini amati da Renoir nella sua infanzia. Amati, si. Perchè come mette in evidenza Renoir nel film, nonostante la tragedia annunciata, l’inquieta rappresentazione di un mondo che danza sulle sue rovine, i personaggi de La regola del gioco sono personaggi al tempo stesso comici e tragici, personaggi amati dallo sguardo del regista, nessuno escluso, anche perchè, come recita una delle battute esemplari del film: “In questo mondo la cosa spaventosa è che ognuno ha le sue ragioni”.

 

Titolo originale: La règle du jeu
Regia: Jean Renoir
Interpreti: Marcel Dalio, Nora Grégor, Roland Toutain, Jean Renoir, Julien Carette, Gaston Modot, Paulette Dubost, Mila Parély, Odette Talazac, Claire Gérard
Durata: 110′
Origine: Francia, 1939

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
5
Sending
Il voto dei lettori
3.8 (5 voti)
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