L’anima in pace, di Ciro Formisano

Il terzo lungometraggio del regista napoletano non è convincente. Le situazioni che crea appaiono forzate, sospinte da una poca affettività nei confronti dell’ambiente dove vivono i personaggi.

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L’anima in pace, terzo lungometraggio di Ciro Formisano (L’esodo, L’altro buio in sala) è una storia “di periferia”, riguardo i temi e l’ambientazione, incentrata su un determinato periodo storico contemporaneo – quello della crisi pandemica. E allo stesso tempo scava nel contesto anche intimo esplorando la vita di Dora e della madre e del loro perenne conflitto. La giovane protagonista è sicuramente il punto saldo de L’anima in pace, nonché il personaggio attorno cui ruota l’intera vicenda e che compie l’arco di trasformazione più delineato e saldo. Il lavoro interpretativo svolto da Livia Antonelli è ottimo, considerando la sua giovane età e l’apporto che ha saputo offrire al film.

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Come si posiziona L’anima in pace nei confonti delle possibilità che un racconto pandemico offre? È chiaro che la messa in scena dovrebbe risentire dei limiti corporali e spaziali imposti da quella crisi epidemiologica, mentre qui gli accenni si fanno spuri, come non abbastanza approfonditi. Questi sprazzi li vediamo nei momenti di contatto tra Dora e sua madre con i gemellini, tolti temporaneamente dalla custodia dal tribunale e in attesa di un processo per l’affidamento. Quando vediamo i quattro comunicare,  parlano tramite una chiamata via cellulare divisi da una finestra di vetro. L’audio non è presente – al contrario del video. E questi escamotage potrebbero apportare una sostanziale differenza al film, che invece non ne esalta tutti gli aspetti e sembra girare troppo su se stesso – fino a perdere l’equilibrio.

L’ambientazione periferica nella quale la vicenda si anima non mostra segni di appassionata appartenenza, né di tangibile passione. I personaggi che abitano lì difatti appaiono superflui, anche quando sembrano protagonisti con una missione da svolgere all’interno della storia. È sicuramente il caso di Yuri, il belloccio amante di Dora nonché spacciatore di quartiere,  perennemente in bilico tra l’invisibilità e la forzatura del ruolo. Persino la matericità della droga stessa, la sostanza che i due smerciano, perde qualsiasi aderenza con una qualsivoglia forma di sentimento o rischio, pericolo. E nelle sequenze nelle quali vediamo la protagonista portare la spesa e/o la sostanza di casa in casa (percorrendo le strade disabitate di Casal Bruciato) il film non si apre a esperimenti o progressioni possibilistiche. Le stesse che magari si potrebbero cogliere proprio grazie alle differenza di vite e situazioni offerte da ogni porta; davanti la quale Dora si presenta. È un racconto affidato all’inerzia, questo diretto da Ciro Formisano, che giunge a un finale troppo adirato e secco ma inconcludente.

 

Regia: Ciro Formisano
Interpreti:  Livia Antonelli, Donatella Finocchiaro, Lorenzo Adorni, Antonio Digirolamo, Daniela Poggi, Cinzia Susino
Distribuzione: Farocinema
Durata: 88′
Origine: Italia, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2
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Il voto dei lettori
3.33 (3 voti)
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