Locarno 76. Conversazione con Pietro Scalia

A Locarno per il Vision Award Ticinomoda Pietro Scalia racconta degli studi, della sua passione per l’arte, dei registi con cui ha lavorato, di intelligenza artificiale e di Ferrari con Michael Mann

--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------

Uno degli incontri di spicco del Locarno Film Festival 2023 è il vincitore del Vision Award Ticinomoda 2023, Pietro Scalia, che grazie alla sua carriera si è aggiudicato due Oscar, uno per JFK – Un caso ancora aperto e per Black Hawk Down. Nato a Catania e vissuto ad Aarau, nella Svizzera tedesca, dopo un periodo passato a Zurigo è andato in America per studiare cinema per seguire la passione per l’arte ed il disegno. “Avevo pensato di vivere a Zurigo, cominciato a studiare cose di commercio, dove poteva tornarmi utile la mia conoscenza delle lingue. Non ero felice. Ho questa passione per il cinema, nata anche grazie alla televisione Svizzera Italiana, dove passavano molti film, che è stata la finestra sulle mie radici e su quella cultura. Ad Arau c’erano 3 cinema ed andavo a vedere non solo i film di Sergio Leone ma anche quelli di Bruce Lee, di Herzog o Fassbinder, di Antonioni. Scelte molto trasversali. Amo veramente l’immagine, una cosa che sentivo nel corpo. Quindi cominciai a chiedermi cosa fare per lavorare nel cinema. Un anno andai in vacanza da una mia zia a New York e presi informazioni. Ricevetti una borsa di studio a NY e poi andai alla UCLA per un master. Felice di essere stato selezionato tra centinaia di studenti.”

--------------------------------------------------------------
#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

--------------------------------------------------------------

Dopo l’UCLA Pietro Scalia torna in Svizzera, ma non succede niente. Negli Stati Uniti aveva fatto dei piccoli cortometraggi sperimentali, poi la cosa era un po’ caduta. Tornò lì. Il montaggio fu il suo modo di avvicinarsi alla regia, ai grandi maestri. A Los Angeles bussò a tante porte, e finalmente arrivò l’occasione di lavorare con Andrei Konchalovsky in Louisiana come secondo assistente. “Ero lì a mettere le pizze, i rulli. Guardavamo il materiale e gli appunti. Il primo assistente un po’ si incasinava ed io presi il suo posto. Arrivai a Stone tramite il fratello di un’amica. Passai un giorno mentre stavano preparando Platoon, ma in quel progetto non c’era posto, ricevetti una promessa di entrare nel gruppo per il film successivo, ed infatti l’anno dopo successe. Sul set Oliver Stone mi chiese un parere ed io fui onesto nella mia critica. Questa onestà fu apprezzata.”
Il lavoro di montatore per Pietro Scalia è un po’ come il lavoro di scrittura. Nei suoi documentari la storia nasceva dalle immagini, nel montaggio prendeva forma. Per lui è una cosa ovvia. Wall Street è il primo film di un lungo rapporto con Oliver Stone, per titoli come Talk Radio, dove divenne primo assistente di montaggio, Nato il 4 Luglio come associato al montaggio, The Doors da editor, scalando posizioni lavorative a piccoli ma significativi passi. 70 ore a settimana, fino a 12 ore al giorno, anche la domenica. Dopo arrivò JFK.“Lavorare con Oliver Stone è come una guerra, ma questa battaglia l’abbiamo vinta. Con l’Oscar ebbi sicuramente più notorietà. Dopo qualche settimana fui chiamato dall’Italia per un film ad alto budget con Adriano Celentano, Jackpot. Ho accettato, ma quel film era proprio incasinato, Mario Orfini era un produttore al suo secondo film come regista. Pensava di essere Spielberg, ma non lo era. Neanche mi ha pagato del tutto. Però quell’estate ebbi l’occasione di incontrare Bertolucci ed anche Fellini. Qualche mese dopo Bernardo mi offrì di lavorare nel Piccolo Buddha. Ero abituato a lavorare con Oliver Stone, con lui era diverso. Guardavamo il materiale in hotel e lui non mi dava indicazioni. Mi disse che toccava a me trovare il disegno. Lui leggeva il giornale e mi parlava di Jean Renoir o di Pasolini, di una carrellata che ricordava Godard. Parlava di cinema ed esprimeva l’amore per il cinema.”  A quel tempo guardavano moltissimo cinema, parlavano di The music room di Satyajit Ray, di cinema Kurosawa, Ozu e Mizoguchi.

Dopo Bertolucci il discorso si sposta su un altro grande regista, Ridley Scott, dotato di un’estetica perfetta secondo Scalia, rispetto a lui che preferisce un’estetica sporcata, meno perfetta e più vera. Anche con il regista britannico nacque subito una sintonia, per la sua disposizione a sacrificare delle immagini in vista del risultato finale e mettersi al servizio della storia da raccontare. Per Black Hawk Down furono girate tantissime riprese, montarlo fu una cosa molto complessa, tanti soldati, elicotteri, tenere conto degli incastri, delle posizioni, esplosioni, sparatorie, tutto basato sull’azione. Scalia ricorda che per una scena ci vollero tre giorni per trovare la chiave. “Bisogna trovare i pezzi e restituire una logica. Genio Ribelle di Gus Van Sant ha delle cose che non si vedono in superficie. È molto basato sui dialoghi, i dialetti, il ritmo. Il mio lavoro non si vede molto, ma anche lì non fu immediato restituire la fluidità e l’energia che nasceva sul set. C’era molta improvvisazione e questo non rendeva la cosa più facile. Sam Raimi sul set di Pronti a morire (un omaggio a Sergio Leone con Sharon Stone, Gene Hackman, Russell Crowe, Leonardo DiCaprio) mi diceva scherzosamente Cosa hai fatto oggi butcher boy? Lui aveva continuamente delle invenzioni, ma gli Studios ci imposero molti tagli di materiale molto interessante. Ci sono pochissimi registi che hanno il potere del final cut. Una volta erano di più, adesso saranno 5, Spielberg, Scorsese, Mann. Se potessi ad esempio rimonterei il Piccolo Buddha, purtroppo il film lo prese in mano la Miramax, Harvey Weinstein, che impose il taglio di molte scene. Anche in Prometeus sono state tagliate purtroppo molte delle scene iniziali.”

La carriera di Pietro Scalia ha attraversato  tutte le evoluzioni dei formati e dei supporti. ha seguito questi cambiamenti per arrivare ad ora, quando si gira tutto in digitale, a parte Nolan e Tarantino, effetti sonori, musica. L’ultima innovazione minacciosa è rappresentata dall’intelligenza artificiale. “Siamo in un momento critico, con tutte le tecnologie, soprattutto per gli scrittori e per gli attori, come dice lo sciopero in corso. A parte la paga, un sistema sul linguaggio riesce a scrivere una sceneggiatura, certe volte fanno dei casini, però son capaci e sono molto più veloci, è possibile costruire voci e personaggi con una base di materiale ed anche gli attori sono preoccupati di questo. Non so se l’intelligenza artificiale sia capace di montare. Il montaggio è un linguaggio, quindi probabilmente si, fra qualche anno. L’AI può imparare a fare delle scelte, capire se le parole sono giuste, rispettare la geografia dei luoghi, può riconoscere delle espressioni emotive dalla faccia, dagli occhi. Però nel montaggio oggi queste sono scelte personali, sono scelte umane. Io riconosco certe emozioni, o livelli di emozioni, che sono molto sottili. Non è una scelta scientifica.” L’incontro si chiude con qualche parola per Ferrari, l’ultimo film di Michael Mann girato a Modena, che verrà presentato in anteprima al prossimo Festival di Venezia, altro nome di assoluto prestigio da aggiungere alla sue collaborazioni. “Mann è una persona molto precisa sulla fotografia e dà degli appunti molto precisi di montaggio, tantissimi. Ho dovuto conciliare il mio metodo con il suo. È un grande maestro, bravissimo a dirigere gli attori. Il suo controllo, la sua dedizione è incredibile, ha l’energia di un trentenne.”

--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array