Lovano Supreme, di Franco Maresco

Fuori Concorso a Locarno 76, Franco Maresco insegue la ricerca dell’assoluto portando in giro Joe Lovano tra l’America di John Coltrane e la Sicilia delle origini del jazz

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“La musica esisteva prima che la parola musica venisse inventata”, lo diceva Ornette Coleman e lo riporta Joe Lovano nei primi minuti di questo nuovo documentario sul jazz di Franco Maresco, ultimo di una lunga serie di lavori, oltre al più noto Io sono Tony Scott, dedicati negli anni a Miles Davis, Louis Armstrong, Steve Lacy…
Se la musica esisteva prima della parola, viene però da chiedersi se il cinema di Franco Maresco esisteva prima, o al di là, della sua voce – e il quesito si fa ancora più cruciale in lavori come questo, in cui l’aspetto più riconoscibilmente cinicotelevisivo dell’autore lascia il passo al respiro del narratore intimista, spesso anche apertamente coinvolto ed emozionato (come nello straordinario La mia Battaglia). Eppure in questo Lovano Supreme c’è ancora una volta l’essenza del Maresco-pensiero, nonostante le fuoriuscite grottesche siano riservate unicamente ad un dialogo nonsense tra Lovano e l’autista palermitano riguardante Il Padrino Parte Terza, e all’immancabile servizio del tg locale dai toni oltre il parossismo.
E lo ritrovi innanzitutto perché tutto si origina da un desiderio forte del regista, quello di organizzare un concerto a Palermo per commemorare i 50 anni dalla scomparsa di John Coltrane, nel 2017: come il grandissimo musicista di A love supreme e Giant Steps, anche il cinema di Maresco si è andato via via depurando dalle sovraorchestrazioni fino a mettersi a nudo definitivamente (Coltrane lo fa negli album pazzeschi della sua ultima fase come Interstellar Space, registrato in duo con il batterista Rashied Ali), si veda ad esempio la sparizione del regista in Belluscone.

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Non si tratterà di quella che il cineasta chiama la “ricerca dell’assoluto” che spingeva ad emergere questa natura via via sempre più spirituale delle registrazioni di Coltrane, ma in ogni caso in Maresco si agita quantomeno una ricerca del genius loci, da sempre instancabile motore dei misteri sacri orchestrati dapprima con Daniele Ciprì negli angoli più metafisici di Palermo, e poi “portando in giro” di volta in volta i vari Gregorio Napoli, Ciccio Mira, Letizia Battaglia, incastonandoli negli angoli della città. Adesso tocca al leggendario sassofonista Joe Lovano farsi da “tramite” umano per liberare l’energia contenuta nelle stanze della casa di Coltrane, nelle assi dello storico club newyorkese Village Vanguard, e poi tra le stradine di Alcara Li Fusi e Cesarò, da cui partirono i suoi nonni per raggiungere gli States: Lovano, che in questi anni si è molto speso in tributi (oltre a questo su Coltrane, il progetto dedicato a Wayne Shorter con Dave Douglas, e l’ultimo bellissimo omaggio a Paul Motian registrato con Jakob Bro), fa echeggiare le note del suo sassofono tra piazze e cimiteri, improvvisando in solitaria o addirittura unendosi alle bande di paese, agli studenti di musica, mentre incontra i parenti mai conosciuti sino ad allora, e ripercorre insieme alla voce narrante di Maresco la storia della sua famiglia, quella di John Coltrane, e quella dell’inesauribile intreccio tra i musicisti siculo-americani e le decadi del jazz, da Nick La Rocca ai giorni nostri. Reagendo attraverso il suono del suo strumento ad ogni situazione in cui viene a trovarsi, Lovano instaura istantaneamente ed impulsivamente una connessione che, per tornare alla definizione di Ornette da cui siamo partiti, surclassa ogni parola, ogni distanza verbale.
Franco Maresco tiene così insieme le processioni di paese (riprese in epoca ancora pre-pandemica) con il repertorio di esibizioni dal vivo dei grandi nomi del jazz, il concerto palermitano di Lovano con Bonafede, Pellitteri e Ciancaglini, con una strepitosa data newyorkese con Ravi Coltrane. Ecco, l’istante che probabilmente “spiega” tutta l’operazione è uno stacco che dal duo di sassofoni tra Lovano e il figlio di Coltrane, astro nascente della scena, passa senza soluzione di continuità all’intreccio di urla esplosive e richiami fantasiosi del mercato di Ballarò. Nell’accostamento vertiginoso zampilla un esempio perfetto di quella che Miles Davis ebbe puntualmente a ribattezzare social music.

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