L’Uomo dal Cuore di Ferro, di Cedric Jimenez

La storia di Reinhard Heydrich, ufficiale nazista e principale artefice della “soluzione finale”. Il film di Jimenez fa però vedere le sue cose migliori proprio quando il protagonista sparisce

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Temi come l’olocausto o la Seconda Guerra Mondiale sono sicuramente tra i più affrontati dalla storia della cinematografia mondiale. Altrettanti sono stati i diversi focus scelti dagli autori, da quello sulle tragiche vittime del conflitto, alla celebrazione dei vincitori, fino alla condanna dei vinti. Eppure un approfondimento mirato su Reinhard Heydrich, uno dei massimi esponenti della dirigenza nazista, nonché principale artefice della “soluzione finale”, ancora mancava. Tratto dal romanzo HHhH (acronimo che sta per Himmler’s Hirn heißt Heydrich ovvero Il cervello di Himmler si chiama Heydrichdi Laurent Binet, arriva nelle sale italiane, due anni dopo la sua distribuzione ufficiale, l’adattamento firmato dal regista Cedric Jimenez e scritto a quattro mani da Audrey Diwan e David Farre.

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Quello di rendere protagonista di una pellicola il cosiddetto Uomo dal Cuore di Ferro, così soprannominato dal Führer in persona, può allora esser già di per sé il suo aspetto più interessante, almeno sulla carta. La prima parte però si rivela nient’altro che una successione continua di montaggi alternati riguardanti la sua ascesa nella gerarchia del partito nazista. Certo, ci vengono mostrate le sue motivazioni, partendo dal suo congedo forzato dal corpo militare tedesco, l’incontro cruciale con la futura compagna Lina (Rosamund Pike), nobile decaduta che lo inizia all’ideologia di Hitler, ma per l’appunto tutto avviene con una tale fretta e rapidità che sembra quasi che al regista abbia premuto il tasto avanti veloce per arrivare subito a ciò che gli importa raccontare davvero.

E non a caso quando L’Uomo dal Cuore di Ferro diventa un film, vero cinema, abbandonando il montaggio didattico, è quando cambia improvvisamente focalizzazione su Josef (Jack Reynor) e Jan (Jack O’Connell), i due giovani patrioti mandati dalla Resistenza a fermare il “Macellaio di Praga”, ossia dove Heydrich all’epoca stazionava e perpetrava principalmente la sua condotta brutale. Con l’attentato, d’altronde, Jimenez decide di aprire l’opera, e attorno ad esso finisce per far ruotare l’intera trama. All’inizio lo spettatore potrebbe pensare sia solo il punto d’arrivo dell’oscura parabola di Heydrich, invece eccolo ritornare sorprendentemente già a metà vicenda. Da lì, con un flashback, prende il via un’altra storia, ossia quella dei due ribelli, e il film come detto si trasforma. Perché Heidrych è stato l’unico ufficiale nazista assassinato durante la guerra, la sua morte è stata la miccia che ha acceso la rivoluzione, la prima clamorosa breccia al potere del Terzo Reich.

Il tema principale allora diventa la sua morte connessa alla storia degli eroi della Resistenza. La scelta da un lato è più che felice, il film ne guadagna dal punto di vista drammatico ed emotivo, ma dall’altro lo rende comunque più tradizionale. Virando sull’avvincente trama di spionaggio e infiltrazione alla Argo, Jimenez abbandona del tutto l’intrigante sfida (sicuramente complicata e di difficile attuazione, va riconosciuto) di analizzare la figura di Heydrich dietro la maschera del mostro, freddo e spietato, che la Storia ci ha tramandato. Il volto austero e orgoglioso di Jason Clarke non può allora che apparire perfettamente funzionale alla causa, ma le sue fragilità, pur presenti, finiscono col risultare solo accennate e tutto sparisce dietro una più prevedibile fervida ambizione e insana fedeltà all’ideologia nazista.
Accantonato Heydrich, però, Jimenez riesce a raccontare qualcosa di nuovo proprio nella seconda parte più canonica. L’eroismo dei ribelli non ha infatti connotazioni esclusivamente retoriche, ma anzi, il regista mostra anche le sue conseguenze negative e spesso dimenticate, ovvero le persecuzioni del regime, successive all’attentato, ai danni dei civili, coloro che a Praga e dintorni rimangono a vivere, mentre i ribelli festeggiano in segreto e fuggono dal paese. Le donne con cui hanno stretto relazioni durante le missioni, come Mia Wasikowska, rimangono sole a illudersi di un futuro che rimarrà solo un sogno. Perché la guerra non finisce con la morte di Heydrich, e qui Jimenez è bravissimo nel rendere estremamente faticosa e infinita la fuga dei ribelli. La resistenza diventa letterale, fisica e quindi epica e commovente come non mai. L’eroismo diventa vero e non più cinematografico ed è proprio qui, alla fine, che invece il cinema di Jimenez tocca le sue vette più alte.

 

Titolo originale: The Man with the Iron Heart
Regia: Cedric Jimenez
Interpreti: Jason Clarke, Rosamund Pike, Mia Wasikowska, Jack O’Connell, Jack Renoir
Distribuzione: VIDEA
Durata: 119′
Origine: Francia/Belgio/Regno Unito/USA, 2017

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