Madame Claude, di Sylvie Verheyde

Grigio biopic sulla ‘maîtresse della Repubblica’ che alla fine degli anni ’60 era diventata una delle donne più potenti in Francia. La materia incandescente si raffredda presto. Su Netflix

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È una parabola strana, ondivaga, quella del cinema di Sylvie Verheyde. Con il suo ispiratissimo, autobiografico, terzo lungometraggio, Stella (2008), raggiunge il suo risultato migliore. A quel punto con il successivo Confession d’un enfant du siècle cambia registro e cerca di dimostrare che il suo sguardo può adattarsi a qualunqe genere. È un po’ il passaggio che hanno fatto anche Jessica Hausner dopo Lourdes e Valerie Donzelli dopo La guerra è dichiarata. L’impressione, pur diversa negli esiti, è simile nell’approccio: la forma si è parzialmente impadronita del loro sguardo, l’ossessione della messinscena prevale sul racconto. La Donzelli però ritrova l’impeto che aveva smarrito proprio in un film in costume, Marguerite & Julien. La Verheyde invece lo cristallizza proprio in Madame Claude, affidandosi ancora una volta all’interpretazione della protagonista di tutti i suoi film, Karole Rocher, nei panni di Madame Claude, all’anagrafe Fernande Grudet (1923-2015), di origine proletarie che alla fine degli anni ’60 è diventata una delle donne più potenti della Francia. Definita la ‘maîtresse della Repubblica’, è stata la tenutaria del bordello più famoso di Parigi che veniva frequentario da clienti facoltosi, politici, criminali in giacca e cravatta e star famose. Anche Marlon Brando, lo Scià di Persia, Charles de Gaulle e Muʿammar Gheddafi sono passati dalle sue parti. “Quando inizi a fare i soldi, arrivano gli sciacalli”. Il denaro per lei è tutto e ha sacrificato anche qualche sua ragazza che è tornata malconcia dopo un appuntamento

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Il cinema della Verheyde aveva già approcciato il mondo della prostituzione nel precedente Sex Doll. Come Madame Claude, anche la protagonista di quel film, Virginie, perde gradualmente sicurezza anche se il suo mondo appare, economicamente e socialmente, incrollabile. La documentazione precisa e la ricostruzione del periodo che va dalla fine degli anni ’60 alla prima metà dei ’70 (con salto nel 1992 con la protagonista segnata più dal make-up che dal tempo) sono gli elementi predominanti su cui si fonda Madame Claude. La cineasta si affida allo sguardo duro della Rocher, la mostra come se fosse una specie di boss della malavita mentre le prostitute sono la sua gang. Racconta del suo passato ma non ne fa sentire i segni. La sua solitudine e la sua tristezza emergono solo a tratti nella parte la parte in cui la protagonista porta con sé le  ‘ragazze preferite’ in vacanza. Madame Claude vive in funzione dei luoghi: camere d’albergo, appartamenti, café. Non c’è però la simbiosi con i luoghi di Stella. L’operazione è scolastica, fredda. Alla cineasta interessa non allontanarsi da un biopic che cerca di essere il più dettagliato possibile. Della protagonista però resta essenzalmente la sua immagine pubblica. Non c’è neanche quel romanticismo patinato di un altra brutta versione dallo stesso titolo realizzato da Just Jaeckin (il regista di Emmanuelle) nel 1977 con Françoise Fabian come protagonista. In più sorvola sulle figure ben più interessanti di Sidonie (interpretata da Garance Miller) e del gangster Joe Attia (Roshdy Zem filmato spesso in ombra) che però vengono mostrati al pari delle auto d’epoca e degli accessori di scena. Soprattutto per quanto riguarda la prima, c’è tutto il rapporto con il padre che è centrale e rimanda a quella ribellione e a quei legami spezzati familiari dei suoi primi due lungometraggi, Un frère… e Princesses. Per raccontare una storia come quella di Madame Claude non basta aver studiato a memoria la lezione. Bisogna tuffarsi in quei decenni. Ma lì è questione di istinto. Assayas (Carlos) e Richet (Nemico pubblico) ce l’hanno, la Verheyde no. Se non c’è, resta solo la forma e la materia, anche incandescente, si raffredda presto.

 

Titolo originale: id.
Regia: Sylvie Verheyde
Interpreti: Karole Rocher, Garance Marillier, Roschdy Zem, Pierre Deladonchamps, Annabelle Belmondo
Distribuzione: Netflix
Durata: 112′
Origine: Francia, 2021

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.2 (5 voti)
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