My Favourite Cake, di Maryam Moghaddam & Behtash Sanaeeha

Un forte gesto politico nascosto dietro l’amara ironia dei frequenti cambi di tono del film che sono gestiti con un grande equilibrio e con un’ammirevole solidità di scrittura. BERLINALE74. Concorso.

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La casa come luogo di ricordi ma ora anche come metafora di una prigione. La coppia di cineasti iraniani Maryam Moghaddam & Behtash Sanaeeha non è potuta venire alla Berlinale a presentare My Favourite Cake (in originale Keyke mahboobe man) perché la polizia ha preso i loro passaporti e gli ha impedito di viaggiare e ora nel loro paese stanno affrontando un processo a causa del film. In quella che si presenta come un’amara commedia sulla solitudine ci sono già dei segnali premonitori sul controllo del regime iraniano: la vicina di casa che bussa alla porta della protagonista per controllare se è sola in casa e soprattutto la scena in strada dove la polizia ha fermato delle ragazze che non stanno indossando correttamente l’hijab.

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Mahin, una donna vedova di circa 70 anni, vive da sola nel suo appartamento a Teheran dopo che la figlia si è trasferita alcuni anni prima in Europa. Un pomeriggio, dopo aver invitato le amiche a casa per un té, decide di rivitalizzare la sua esistenza. Così in un ristorante viene colpita dalla presenza di un tassista divorziato che mangia da solo. Lo invita a casa sua. I due mangiano, bevono, ballano ma poi la serata prende una piega inaspettata.

Al secondo lungometraggio dopo Ballad of a White Cow (presentato in concorso alla Berlinale nel 2021), i due cineasti iraniani costruiscono un altro dolente e intenso ritratto al femminile dopo quello di Mina del film precedente. C’è solo la differenza che Mahin sembra una donna più libera e battagliera e si vede nella scena con cui difende una ragazza dagli agenti nel parco e le impedisce di essere arrestata. Il tono sembra apparentemente più leggero, soprattutto in quell’incontro di notte tra i due protagonisti in una improvvisa notte di sognatori. Così l’efficace della rappresentazione della solitudine (la scena della telefonata di Mahin con la figlia continuamente interrotta e poi improvvisamente troncata) lascia poi spazio in quel gioco seduttivo culminata nella scena in cui i due si fanno la doccia vestiti, probabilmente ennesima beffa nei confronti del proprio paese. Tutto però accade dentro quella casa e si avverte la presenza delle ombre ammonitrici degli interni del cinema di Panahi, come nel taxi di Taxi Teheran e la villa sul mare di Closed Curtain che vedeva tra gli attori anche Maryam Moghaddam. Come in quel film, non ci devono essere rumori sospetti e tutto deve avvenire nell’oscurità, finale compreso. Proprio per questo, proprio alla luce della condizione dei due cineasti, My Favourite Cake diventa un gesto politico ribelle nascosto dietro l’amara ironia dei frequenti cambi di tono del film che sono gestiti con un grande equilibrio e con una solidità di scrittura dove il tono da favola è solo una fuggevole illusione.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
4
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Il voto dei lettori
4 (1 voto)
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