PESARO 2003 – "Questo è per me incredibilmente importante: sperimentare e sperimentare". Intervista a Zbig Rybczynski

Dopo essere scivolati nelle sue imprese visive-visuali-vitali per il nostro rinascimento elettronico, si esce centrifugati e perplessi, abbacinati e stupefatti ma consapevoli di aver tradotto la nostra idea medievale di comuni spettatori in qualcosa che appartiene al futuro dell'immagine, a quello delle cose

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La Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro è anche questo, la possibilità di incontrare e conoscere le opere di registi sconosciuti ai più, ma fondamentali per la storia del cinema e non solo. Zbig Rybczynski è uno di questi. Dopo essere scivolati nelle sue imprese visive-visuali-vitali per il nostro rinascimento elettronico, si esce  centrifugati e perplessi, abbacinati e stupefatti ma consapevoli, questo sicuramente, di aver tradotto la nostra idea medievale di comuni spettatori in qualcosa che appartiene al futuro dell'immagine, a quello delle cose. Zbig non ha più prodotto un solo lavoro dal 1993, ci dice che sta studiando e sperimentando, ma siamo sicuri che il suo prossimo caleidoscopio ci lascerà qualcosa alla quale già stentiamo a credere.

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Sei contento del sorgere di questo nuovo interesse nei confronti del tuo lavoro e dunque di questa retrospettiva completa?


E' un motivo di grande contentezza per me essere qui, anche perché per me l'Italia è Il Paese dell'arte, il paese in cui negli ultimi duemila anni sono state fatte le scoperte più straordinarie dell'arte stessa. Qui ho potuto vedere gli affreschi di Giotto e rimanere meravigliato, letteralmente esterrefatto di fronte a tanta bellezza e intelligenza. Quindi sì, sono contento di questo interessamento, soprattutto da parte dell'Italia.


Sono undici anni che non vediamo un tuo lavoro, come mai?


Tra le mie passioni c'è quella dello studio della storia dell'arte, e da questa materia appunto che sono partito quando ho capito che volevo buttarmi nel mondo del cinema. Da qui in poi non ho mai pensato di fare un capolavoro, non ho mai avuto interessi per il cinema commerciale, anche se garantisco che se volessi fare un film di genere saprei come fare, ma semmai cercare sempre e comunque di fare della sperimentazione. Per me è l'unica dimensione da seguire, perché è importante carpire da tutti i generi cinematografici, da tutti i modi di filmare e da tutti i mestieri del cinema. Io infatti mi sono occupato di produzione, di allestimento del set, ho fatto l'operatore, mi sono occupato del montaggio. Dunque questo è per me incredibilmente importante, ossia sperimentare e sperimentare. Per questo motivo dieci anni fa, proprio per continuare nella mia sperimentazione, non ho più girato un film, soprattutto dall'avvento del digitale così da poterlo studiare meglio e a fondo. Infatti sono anni che studio programmazione informatica, proprio perché voglio capire che cosa cambierà l'arte e come si svolgerà la rivoluzione digitale.


Quando hai iniziato il tuo percorso di sperimentazione ti saresti mai immaginato che la tecnologia sarebbe arrivata a risultati tali, grazie al digitale, da rivoluzionare il cinema?


No, non potevo certo prevedere il futuro, però mi sono sempre trovato casualmente nel posto giusto al momento giusto. Mi sono trovato a New York quando c'è stata l'esplosione della tecnologia video; mi sono trovato al posto giusto quando si è sviluppata la tecnologia informatica per quanto riguarda sempre il video; mi sono trovato ancora a New York quando c'è stata la presentazione del primo Macintosh e adesso mi trovo ad assistere ad una cosa che seguo da tantissimi anni, ossia la creazione dell' "obiettivo perfetto", del primo "obiettivo perfetto" (della Fuji). Da tanto tempo cerco di convincere gli scienziati prima della Canon, poi della Nikon e infine della Fuji, a ricercare e investire su questo tipo di obiettivo perfetto (nel senso che riproduce perfettamente il movimento a 180 gradi dell'occhio). Sono stato quindi fortunato a trovarmi nel momento giusto e da parte mia ho sempre avuto il desiderio di muovermi in avanti, verso il futuro. Quando ho sentito la necessità di qualcosa di diverso per migliorare ho pensato subito (tanti anni fa) a questo tipo di obiettivo ma non ho mai potuto realizzarlo da solo per evidenti motivi di costi, per costruire un prototipo avrei infatti avuto bisogno di almeno cinque milioni di dollari. Ho sempre cercato di essere all'avanguardia proprio perché penso che l'arte, oggi giorno, sia proprio questo, essere all'avanguardia.

A proposito di avanguardia, spiegaci da dove parte la tua idea di prospettiva ottica, che è quello che ci ha più colpito…


Tre o quattro anni fa mi sono reso conto di aver "inventato" una mia prospettiva partendo appunto dai classici dell'arte, da Brunelleschi, da Giotto, da Piero Della Francesca. Che consiste, tecnicamente, nel mostrare un'immagine a 180 gradi, esattamente come fa l'occhio umano. Da questi maestri parte la mia idea di prospettiva.


Lev Manovich nel suo "Il linguaggio dei nuovi media" sostiene che l'unico precursore, non  del linguaggio cinematografico, ma addirittura del linguaggio dei nuovi media, sia proprio Rybczynski. Ti riconosci in questa analisi?


Sì, ho letto il libro di Manovich e mi sono anche sorpreso di vedere il capitolo dedicato a me prima di quello su Godard [ride]. Beh, cosa devo dire, viviamo in un mondo dove la tecnologia, la televisione, internet, ci perseguono, si rivolgono a milioni di persone, dunque temo che le persone che producono il materiale veicolato da questi mezzi venga, dato il bacino di utenti enorme, semplificato troppo. Un conto è parlare sopra una sedia a due o tre persone in Hide Park Corner, un conto è parlare ad un pubblico così vasto come appunto ci permettono di fare internet e la televisione. Ma credo che questo sia il prezzo che deve pagare la nostra civiltà, una civiltà democratica. Da parte mia mi auspico che nel futuro ci si possa imbattere in una dittatura di una società colta, educata, istruita. Chissà, magari nel nostro prossimo futuro esisterà una società dove tutti saranno molto molto colti.


Tu sei stato anche regista di importanti videoclip (tra i più famosi "Imagine" di John Lennon), ma cosa pensi dei giovani autori i quali, pensiamo a Michel Gondry o a Chris Cunningham, sovente sembrano esserti debitori, quasi imitatori?


Come ho già detto il mio percorso professionale parte da un'ottima conoscenza della pittura e della storia dell'arte in generale, dunque se questi nuovi registi hanno fatto la stessa cosa è facile poi che si muovano naturalmente nella mia direzione. Io ho avuto molti premi per le mie invenzioni tecnologiche, per le ottiche, per gli effetti speciali, per la computer grafica, ecc., sono stato io ad inventare questi apparecchi, ma se non lo avessi fatto io ci avrebbe pensato qualcun altro, dopo di me. Quindi è diciamo un percorso logico e mi fa piacere che giovani registi giungano ora dove io ero già negli anni ottanta.

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