Reptile, di Grant Singer

Un thriller che parte da un discreto affondo psicologico ma che si perde nella seconda parte a causa di un intreccio narrativo che si fa sempre più complicato e macchinoso. Su Netflix

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Il dettaglio sugli occhi segnati e stanchi del detective Tom Nichols (Benicio Del Toro). Partiamo dai suoi occhi. Due fessure che si aprono a fatica, quasi a raccontarci la difficoltà del nostro protagonista nel vederci chiaro sulla faccenda. D’altronde, le incertezze di Tom non riguardano soltanto il caso su cui sta indagando. C’entra anche la sua vita, il rapporto di luci e ombre con il suo lavoro. È un problema etico e morale. Lo dice lui stesso: il suo è un amore “non corrisposto” per il mestiere del poliziotto.

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È appena uscito da un giro losco che potenzialmente poteva procuragli non pochi guai ma dal quale è riuscito a venirne fuori abbastanza pulito. Intorno a sé, sembrerebbe avere una squadra che lo sostiene, che gli vuole bene proprio come in una famiglia. Viene persino incaricato di indagare sull’omicidio di una giovane agente immobiliare. Eccola l’occasione che il detective stava aspettando. Il caso sembra fin troppo semplice e viene chiuso dopo pochi giorni ma il Nichols non riesce a raccapezzarsi rispetto al quadro generale della vicenda e decide, così, di continuare in solitaria le indagini.

Si parlava degli occhi di Benicio del Toro. È proprio a lui che si affida Grant Singer, regista al suo primo lungometraggio di finzione. Un’opera prima ambiziosa, non solo per il cast scritturato (accanto a Del Toro ci sono Justin Timberlake, Alicia Silverstone ed Eric Bogosian), ma anche per il tentativo di orchestrare uno psicological thriller con chiari riferimenti alla serialità televisiva di True Detective e a quella fincheriana di Mindhunter.

Effettivamente, Reptile, soprattutto nella sua prima metà, sviluppa un interessante affondo sulla psiche del personaggio interpretato da Del Toro, un uomo che sta cercando di cambiare pelle, come quel rettile suggerito dal titolo del film. Per buona parte del film seguiamo l’inquietudine esistenziale del detective farsi spazio, inquadratura dopo inquadratura, togliendogli gradualmente le poche certezze rimaste su lavoro, colleghi e amici. Singer alimenta il grado di inquietudine attraverso uno stile di regia piuttosto convenzionale, ma che si concentra soprattutto su inquadrature statiche che ci avvicinano sempre di più al nostro detective, attraversando, per tutto l’arco del film, la scala di campi e piani, fino al già citato dettaglio sugli occhi stanchi del detective Nichols.

Col passare dei minuti, però, il discreto affondo psicologico passa in secondo piano, sovrastato da un intreccio narrativo che si fa sempre più complicato e ingarbugliato, diventando nella seconda metà del film, piuttosto macchinoso. È qui che Singer ci mostra tutti i suoi limiti di scrittura, esponendo il fianco della sua sceneggiatura (alla cui stesura hanno partecipato anche Benicio Del Toro e Benjamin Brewer) ad alcuni buchi di trama, con personaggi che vengono tirati in causa e abbandonati con grave superficialità, oltretutto abbastanza inspiegabile.

La sensazione è quella che sia sbagliato il formato di un’operazione che avrebbe “respirato” maggiormente all’interno di un contesto seriale, dove, con i dovuti accorgimenti, ci sarebbe stato il tempo e lo spazio per scorrere e approfondire meglio il ventaglio di personaggi, storie e psicologie che, ridotti e limitati all’interno di poche superficiali inquadrature, risultano decisamente sprecati.

 

Titolo originale: id.
Regia: Grant Singer
Interpreti: Benicio Del Toro, Justin Timberlake, Eric Bogosian, Alicia Silverstone, Domenick Lombardozzi, Frances Fisher, Ato Essandoh, Michael Pitt, Karl Glusman, Ato Essandoh
Distribuzione: Netflix
Durata: 134′
Origine: USA, 2023

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5
Sending
Il voto dei lettori
2.55 (20 voti)
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