RoFF18 – La morte è un problema dei vivi. Incontro con Teemu Nikki

Abbiamo intervistato il regista e i due protagonisti del film all’Auditorium per farci raccontare meglio un’opera che mescola dramma e comicità dell’assurdo

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Presentato nella sezione Progressive Cinema della Festa del Cinema di Roma, La morte è un problema dei vivi è il nuovo film del cineasta finlandese Teemu Nikki. Dopo Il cieco che non voleva vedere Titanic, a Venezia nel 2021, Nikki torna dietro la macchina da presa con una tragicommedia surreale che ben si sposa con la sua personalissima poetica.
Abbiamo incontrato il regista e i due attori protagonisti Pekka Strang e Jari Virman per farci raccontare qualcosa in più di questo bizzarro progetto.

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A due anni di distanza dalla Mostra del Cinema di Venezia torna in Italia per presentare il suo nuovo film. Può raccontarci la genesi del progetto? 
Questo progetto in realtà nasce durante la produzione del film precedente, Snot and Splash, che non è ancora uscito, che è un film sulla famiglia. E mentre facevo quel film mi sono detto ‘se io morissi adesso non vorrei che il mio ultimo film fosse un family movie’; e così ho pensato che avrei potuto fare un film sulle dipendenze. Lì per lì ho pensato potesse essere un film sull’alcolismo e gli alcolisti, ma mi sono reso conto che in Finlandia ce n’erano già troppi e quindi ho preferito privilegiare questo discorso sul gioco e sulla ludopatia.
Per quanto riguarda gli attori, Pekka era già stato pensato fin dall’inizio, poi in un secondo momento ho pensato a Jari. Quando li ho contattati non esisteva ancora la sceneggiatura, ma io ho detto loro di fidarsi e che sarebbe uscito qualcosa di interessante. Dopodiché si è unito anche l’elemento dell”uomo senza cervello”, su cui avevo letto un articolo già parecchio tempo prima, ma che inizialmente non era previsto nello script. Poi il tutto si è amalgamato.
Quali sono i suoi principali riferimenti cinematografici in termini di tragicommedia dell’assurdo o comunque mescolanza di generi? 
In realtà io dico sempre che mi piacciono molto registi come John Carpenter o come i fratelli Coen e in generale mi piace la pratica del mescolare diversi generi. Il mio obiettivo però è cercare di fare qualcosa di mio, cioè di realizzare qualcosa che nessuno abbia mai fatto prima. Questo almeno è quello che cerco di fare, non so se ci riesco, ma di sicuro ci provo.
Molto spesso agli attori è richiesto un lavoro definito di sottrazione. Nei film di Nikki è però la vera e propria sottrazione fisica ad essere una componente fondamentale dell’opera. Lei Jari Virman come ha lavorato sul suo personaggio per restituire la credibilità di una condizione assurda? 
Nel mio caso io non ho realmente pensato a quella che effettivamente, da parte degli altri, è considerata una grande mancanza di quello che è il mio personaggio. Ciò che mi ha permesso di creare il personaggio è in primo luogo il duro lavoro che ho svolto con Pekka, con gli altri attori e naturalmente con Teemu. Il mio personaggio è estremamente aperto verso gli altri e ha la capacità di assorbire ciò che viene da fuori, non lascia spazio per pensare a quello che è un suo problema. Avviene solo in una sequenza, quella dei dottori, ma per il resto lui non pensa, agisce.
Siccome spesso il mio personaggio è creato da come lo vedono gli altri quello che a me interessava era conferire al personaggio un carattere fanciullesco, in modo tale che chi lo vede possa pensare a un bambino.
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