#TFF41 – Lux Santa: incontro con Matteo Russo

Abbiamo incontrato il regista per farci raccontare meglio la storia di un docu-film che lavora con fuoco e silenzi e si immerge nella difficile realtà del rione di Fondo Gesù di Crotone.

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Diretto da Matteo Russo e proiettato in anteprima assoluta alla 41° edizione del Torino Film Festival – all’interno della sezione Documentari Italiani – Lux Santa si immerge nella difficile realtà del rione di Fondo Gesù di Crotone e prova a raccontare la quotidianità di un gruppo autoctono di adolescenti in occasione della Festa di Santa Lucia, festeggiata ogni 13 dicembre con grandi e suggestivi falò.

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Abbiamo intervistato il regista per farci raccontare qualcosa in più del progetto.

 

Come è nato il progetto? Hai dei riferimenti nel panorama documentario italiano?

Il film inizialmente doveva raccontare la tradizione popolare dei fuochi di Santa Lucia anche più dal punto di vista spirituale e antropologico. Poi abbiamo conosciuto i ragazzi di Fondo Gesù e il film è subito cambiato. Io ero partito con un canovaccio che è subito saltato, ma ci siamo comunque posti degli obiettivi, dei temi di cui volevamo parlare come ad esempio l’amicizia, che è centrale nel film.
Chiaramente ci sono opere come quelle di Jonas Carpignano e in generale del movimento che si è creato, penso a Atlantide, che mi hanno ispirato e influenzato. Quando ho visto questi film ho avuto la sensazione di non riuscire bene a capire se si trattasse di un film di finzione o un documentario; e questo è stato il primo obiettivo del mio progetto. Riuscire a destabilizzare lo spettatore e porlo di fronte a questa sorta di muro invisibile.

Puoi raccontarci che tipo di rapporto si è instaurato tra la telecamera e i ragazzi protagonisti del film?

Il progetto ha dato la possibilità a dei ragazzi, che appartengono a quartieri popolari difficili, di vivere l’esperienza del set. La telecamera li ha aiutati moltissimo, infatti noi avevamo già girato del materiale nel 2021 con una troupe ridotta e in quell’occasione i ragazzi avevano costruito una struttura un po’ scapestrata. Quando invece siamo arrivati nel 2022 con una troupe allargata e loro hanno capito anche il potenziale del cinema rispetto alla voce che poteva dare a loro e a questa tradizione popolare, si sono riuniti e hanno cercato di realizzare quella maestosa piramide che da tempo non facevano nel quartiere.

 

Ci sono diversi momenti in cui la telecamera si avvicina ai volti dei ragazzi: come mai questa scelta?

Come dicevo io ho avuto la fortuna di girare qualcosa, che non ho montato, anche nel 2021. E all’epoca non sapevo ancora l’approccio che avrei voluto utilizzare o almeno il linguaggio. Poi abbiamo capito che i ragazzi quando venivano osservati da lontano perdevano un po’ di autenticità. Io avevo capito che anche solo gli sguardi, nel silenzio, potessero comunicare molto più delle parole ed ecco perché abbiamo aiutato i ragazzi a non parlare troppo, gli abbiamo insegnato la potenza del silenzio appunto. E questo silenzio poteva essere restituito solo attraverso una macchina da presa attaccata ai loro volti.

 

Puoi parlarci un po’di come hai lavorato sulle musiche?

Quando mi sono confrontato con Ginevra Nervi l’intenzione era quella di andare a rafforzare i momenti più emotivi del film. Abbiamo usato pochissimi temi infatti. Il tema più malinconico è quello che accompagna i momenti di riflessione dei ragazzi, i loro confronti; poi c’è il tema del fuoco che serve ad amplificare il raggiungimento del risultato. In generale abbiamo deciso di lavorare più sull’elettronico che sulle componenti orchestrali. E sul finale abbiamo avuto la possibilità di collaborare con un rapper di Crotone che ci ha regalato un suo brano composto appositamente in funzione del film e che restituisce alcune delle tematiche dell’opera stessa.

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