Thanksgiving, di Eli Roth

Traspira l’anima del Grindhouse più goliardico, scricchiolando di tanto in tanto nelle sue abissali e incontrollate evocazioni consumistiche, ma lascia cominque il segno.

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Il principio era Grindhouse, anche se, ad oggi, sembra non esserlo mai stato. Il titanico ed abissale substrato creato da Tarantino e Rodriguez si definiva nel 2007 (un’era meccanica fa) come l’apice della totale e benevola infezione della cultura indipendente del brutto, dell’apocrifo, in un panorama mainstream diretto verso l’atipicità consacrale del mezzo digitale. E, in effetti, Grindhouse al tempo ha saputo legittimare egregiamente questa sua pulsione immaginifica, nonostante fosse stato elaborato da due entità simultaneamente rinchiuse nella sodomia del riferimento. Forse, col tempo, tale sguardo ha unicamente permesso al duo di dichiarare la loro immanente presa nella recezione del pubblico più accanito. Di una nuova generazione di spettatori e registi desiderosi di sguazzare in una concatenazione di bieco terrore analogico e soppressione anticonsumistica. Ed uno di quei giovani nostalgici tormentati dalle parassitarie immagini del cinema gore era proprio Eli Roth. Molto probabilmente il vero protagonista di una delle innumerevoli istanze del progetto Grindhouse, incominciato già in tempi non sospetti con Cabin Fever e il primo capitolo di Hostel. Uno dei fautori delle sporadiche interferenze da pellicola di basso costo, in grado di balzare in uno stato psicotropo all’altro, immergendoci nella claudicante decostruzione dei termini di proprietà oramai centrali nel suo cinema fondato sui generis. Difatti Thanksgiving era nato come uno dei fake trailer del progetto Tarantino/ Rodriguez. Un flash folle, libidinoso ed estremamente centrale. Molto di più del suo omonimo lungometraggio erroneamente trascinato da Roth stesso verso altre cruente dicotomie.

Al centro del film ci sono una serie di efferati omicidi figli di una tragica notte di Black Friday. L’insinuazione carpenteriana è celata nel quartiere perfetto e la strabordante invasione degli zombie dello sconto irrinunciabile. Già dalle fondamenta si possono ricavare le informazioni cruciali per comprendere l’operazione condotta da Roth. Esattamente posto tra Romero e Kaufman, Thanksgiving attinge a pieni mani dalla propria matrice per documentare l’imminente bancarotta del cenacolo americano. Il grande valzer della conclamata fratellanza a stelle e strisce democraticamente piegata su sé stessa. Arenata in un suo contemporaneo totalmente simulativo, apatico. E sono proprio queste immagini caricaturali, quasi moderate nella loro esecuzione, a raccontarci un immaginario riabilitato dall’eroina dell’effetto ma talmente analitico da divenire illogico. Come a voler negare il seme di discendenza. Come a voler andare oltre la sfera Grindhouse per sposare invece una politica molto più simile a quella ricondizionata di Jason Blum. Non si crea un abisso senza che il pubblico non lo sappia. Se Roth si dimostra abile nel creare il giusto luogo d’analisi, anche con un leggera dose di humor scorretto, d’altro canto tergiversa nell’evocare didascalicamente l’orrore di queste innumerevoli evocazioni digitalconsumistiche. Le carte vengono scoperte troppo presto, anche una dose di leggera velleità, puntando quasi a creare l’ennesimo contro circuito di costume piuttosto che un’altra voragine all’interno di un gioco eclettico come quello intrapreso da Roth.

 

 

Titolo originale: id.
Regia: Eli Roth
Interpreti: Patrick Dempsey, Rick Hoffman, Nell Verlaque, Gina Gershon, Milo Manheim, Addison Rae, Karen Cliche, Chris Sandiford
Distribuzione: Eagle Pictures
Durata: 107′
Origine: USA, 2023

 

 

 

 

 

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5
Sending
Il voto dei lettori
3.13 (8 voti)
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