THE BOYS – La metà oscura dei supereroi
E se i supereroi fossero più impegnati ad analizzare percentuali di profitto e a contare like, che a combattere il crimine? Abbiamo visto in anteprima i primi due episodi della nuova serie Amazon

E se i supereroi fossero più impegnati ad analizzare le percentuali di profitto, a contare i like, ad apparire affascinanti nelle interviste e ad agguantare followers nei rescue video, che a combattere il crimine? Quali sarebbero le sorti di un mondo che scinde nettamente tra dèi e adoratori, monopolizzato da chi ha poteri fuori dall’ordinario, di vita e di morte?

La nuova serie targata Amazon Prime The Boys, disponibile sulla piattaforma da oggi 26 luglio, sembra mettere in tavola un proprio discorso metanarrativo, additando divertita il sovrappopolamento multidisciplinare di supereroi che imperversa negli ultimi anni, la smodata richiesta (o, quantomeno, la vendibilità) di mitologia 2.0 in ogni sua forma. E rendendo superfluo e triviale ogni idealismo, incatenando i suoi superheroes a logiche di ranking e di lobby, l’universo creato dalla serie – che è tratta dall’omonimo comic book firmato da Garth Ennis e Darick Robertson – li inquadra e li inchioda nella loro rozza normalità. Capovolgendo con formula intrigante la tessitura narrativa a base supereroistica: se i supereroi – e in primis i paladini indiscussi, i magnifici Seven capeggiati dal magnanimo Homelander e gestiti dalla multinazionale Vought – sono corrotti e corruttibili, vanitosi, megalomani quanto imprudenti, e intenti ad occuparsi di cose terrene, allora qualcosa di terreno forse può distruggerli. Qualcosa come il manipolo scomposto dei boys capitanati da Butcher, vigilantes-vendicatori che hanno come unico obiettivo quello di annientare i Sette e la loro finta facciata costruita da abili giustapposizioni di marketing e ritorsioni.
Furia cieca, vendetta, giustizialismo. La zona morale di The Boys

Quel che sembra altrettanto evidente nei primi due episodi visti in anteprima è però la scelta di incardinarsi in un format stilistico piuttosto “classico”, molto dark come si diceva prima, molto legato alle strutture di genere, in contraddizione con l’intento in controtendenza e dissacratorio che il soggetto grida a gran voce da tutti i pori. L’incipit fin qui visto di The Boys sembra ricalcare assiomi drammaturgici già visti, con una serietà che appare ancor più estraniante se tra gli executive producers figurano due menti come Seth Rogen ed Evan Goldberg che hanno firmato vere perle (basti citare This is the End e Sausage Party), abituandoci a un’ironia beffarda, caustica, e prospettive ben più sopra le righe. Sembra, a livello stilistico, mancare quel tentativo follemente corrosivo, spassionatamente acido osato ad esempio dal netflixiano Happy!, o la voglia di sperimentare con nuovi linguaggi come ha fatto sul grande schermo Spider-Man: Into the Spider-Verse. I due episodi introduttivi lasciano comunque la speranza che quel salto di qualità possa esser fatto, un’aspettativa alta e fiduciosa anche perché nel pool dei writers della serie c’è George Mastras, uno degli autori di punta di Breaking Bad, (che per la pluripremiata serie firmò episodi come Grilled, ad esempio), uno in grado di creare magie insomma.
“The Devil gets into me sometimes” afferma sardonico l’Homelander del fumetto a cui si ispira The Boys. E per i rimanenti sei episodi, più una seconda stagione fresca d’annuncio dal San Diego Comic-Con, ci aspettiamo fuoco e fiamme, e speriamo anche un bel po’ di sana giocosa pazzia.
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