THE NEST. Sentieri Selvaggi intervista Roberto De Feo

Incontriamo Roberto De Feo di passaggio a Roma per farci raccontare dell’annunciato remake americano del suo The Nest, e del sogno di una factory in stile Blumhouse per il nuovo horror italiano

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Roberto De Feo è uno dei più promettenti registi di genere italiani. La sua opera prima, The Nestha avuto incassi sorprendenti e ottime recensioni e, come vi abbiamo raccontato giorni fa, sta per avere un remake americano.

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Lo incontriamo in un piccolo bar della Stazione Termini, a Roma. Tra un Coca-Cola e un succo di frutta viene fuori una piacevole chiacchierata sul cinema, suo e di altri.

Dunque, iniziamo parlando della notizia recente. Il tuo The Nest avrà un remake negli Stati Uniti. Raccontaci come è andata…

Tutto è iniziato al Sitges, il più importante Festival al mondo sul cinema fantastico e horror. La nuova responsabile delle acquisizioni della Sony si è innamorata del film dopo averlo visto, ci siamo incotrati e mi ha proposto di rappresentarlo negli USA. Dopo un paio di settimane abbiamo iniziato a fare le prime chiamate a varie case di produzione. Alla fine, quella che si mostrata più concretamente interessata è stata la Gotham Group, che ha comprato quindi i diritti di remake. L’idea è quella di una coproduzione insieme ad altre realtà, anche se per ora non so molto altro.
Quindi devo ringraziare soprattutto il Festival, per aver creato un contenitore grazie al quale il mio film è arrivato ad un pubblico importante.

Facciamo un passo indietro. Come è nato il film, come hai lavorato sul set?

La produzione non è stata semplice. Ho avuto solo quattro settimane di riprese, e avevo due ragazzini minorenni come protagonisti. Quindi ho girato otto ore al giorno per quattro settimane, tempi che rendono complesso girare un film di genere. Sono però stato molto fortunato per quanto riguarda il cast artistico e tecnico. Ho fortemente voluto attori non celeberrimi, perché in caso contrario, in un film di genere, ci sarebbe stato immediatamente un black-out a livello di credibilità.
Il film è girato in provincia di Torino e le maestranze torinesi sono state una grande scoperta, in particolare la scenografa Francesca Bocca che ha fatto un lavoro incredibile. Abbiamo girato in questa location che si chiama Villa dei Laghi (come nel film) all’interno di Parco La Mandria. Il posto ha una storia molto interessante, è nato come terreno di caccia di Vittorio Emanuele II per poi diventare la residenza delle sue amanti. In seguito ci hanno abitato molte altre famiglie, e quindi ha subito vari influssi che la rendono molto affascinante.

Lì, come ho detto, siamo stati quattro settimane e non ho potuto effettivamente mettere in scena tutto lo script originale e ho dovuto ridurlo da 109 a 81 pagine. Alla fine abbiamo portato a casa un film che aveva delle ambizioni a livello visivo e che quindi richiedeva un grande lavoro di squadra. Abbiamo iniziato a girare il 6 maggio e il 21 luglio abbiamo consegnato il film, lavorando quindi “all’americana”. Spero che il remake americano possa giovare di temi più larghi e di un budget più importante, per quanto anche quello messomi a disposizione da Colorado Film (1.300.000 euro) non fosse affatto irrisorio.

The Nest, foto dal set

Come si fa oggi a produrre horror in Italia? C’è secondo te la possibilità che nasca anche da noi un realtà produttiva seria legata a questo genere, magari qualcosa di simile all’americana Blumhouse?

Mi fai la domanda giusta, perché il mio obiettivo principale è sempre stato quello di far parte di una factory. Tu hai citato un grande esempio, Jason Blum: ecco io penso che in Italia sia ancora presto per immaginare un’eccellenza tale ma che sia il momento adatto alla nascita di un factory. Questo perché grazie alle nuove piattaforme digitali la richiesta di questo tipo di contenuti è aumentata tantissimo, e quindi è aumentato il numero di registi che vi si dedicano, e che impongono le loro idee malgrado il mercato negli ultimi anni abbia abbastanza snobbato questo genere. Ecco, prima ancora di parlare di factory bisognerebbe che i professionisti riscoprissero la passione per il genere, altrimenti ha poco senso.
Bisogna poi dire che in Italia qualcosa si sta muovendo, alcuni registi come Domenico De Feudis e Brando De Sica hanno finito di girare film dell’orrore, e anche Sky ne ha prodotto uno simile a A Quiet Place. Sono convinto che nei prossimi mesi succederà qualcosa di importante.

Hai parlato di maestri. Qual è stata la tua formazione di spettatore horror?

Ho sempre provato fascino per la paura, quindi sin da piccolo ho sempre amato qualsiasi genere che mi portasse fuori dalla realtà. Naturalmente poi l’horror è diventato il mio genere preferito.
Sono partito dai grandi maestri come Argento, Fulci e Bava ma anche Pupi Avati, per poi arrivare ad un altro tipo di horror. Quello che amo oggi è il cinema horror capace di trattare temi sociali, ed è quello che mi piacerebbe fare in futuro.

Il futuro, quindi. Quali progetti hai?

Mi sto concentrando soprattutto sul capire quale sia il mio pubblico e come raggiungerlo. Le idee ci sono e mi sto guardando intorno.

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